Haiti, in fila per le cure nella città assediata dal colera

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26/10/2010

(testimonianza inviata da Douglas Armour, UNICEF UK )

Mi trovo a L'Estere, Haiti. In un angolo all'ombra del cortile dell'ospedale Saint Jacques Destine, un uomo tiene in braccio la sua nipotina di 2 anni, Jackson. Viene da Volumba, non lontano da qui, dove coltiva riso.

I due hanno coperto il tragitto fino all'ospedale in motocicletta e ora attendono il loro turno per essere esaminati. Jackson singhiozza forte. «Sta male. Piange da ieri notte» spiega lo zio.

Gli chiedono se sia lui il padre. «No. I suoi genitori sono morti di colera, la settimana scorsa

Molta gente nel suo villaggio è malata, spiega. Per questo molti se ne stanno andando altrove.

Le cifre della tragedia

Il dottor Masadieu Branchelor, direttore dell'ospedale, ha visto pazienti a sufficienza per sapere che questa è un'epidemia grave.

Una settimana dopo i primi casi, qui sono morte di colera 10 persone, tra cui 2 bambini. Almeno 100 delle oltre mille persone che sono state visitate in questo centro negli ultimi giorni sono state ricoverate.

Il Ministero della sanità riferisce fino a martedì di 3.342 casi accertati, di cui 259 con esito letale.

Il dottor Branchelor riesce a essere positivo: «Ora le cose vanno un poco meglio. Siamo organizzati meglio. Ma il numero dei pazienti che arriva qui non accenna a diminuire»

La cittadina di L'Estere si trova a nord di Saint Marc, una delle città più flagellate dall'epidemia nell'isola caraibica. Ma la lista comprende anche le località di Grande Saline, Marchand Dessalines, Desdunes, Petite Rivière, La Chapelle e Saint Michel de l'Attalaye, tutte nel dipartimento di Artibonite, epicentro di questa crisi.

L'azione dell'UNICEF

L'UNICEF ha attrezzato un Centro per la cura del colera all'interno dell'ospedale di L'Estere per fare in modo che i casi di colera siano isolati dagli altri pazienti.

Questa è solo una delle strutture sanitarie alle quali l'UNICEF sta prestando soccorso con scorte di farmaci e attrezzature mediche, anche tramite organizzazioni partner come l'ONG francese ACTED.

A Dessalines l'UNICEF sta allestendo un'altra unità per la terapia del colera, con tende, sostanze per la disinfezione dell'acqua, sali per la terapia di reidratazione orale, kit per la cura della diarrea e altri beni di emergenza.

Tra consapevolezza e incoscienza  

  Anche St. Jacques attende il suo turno sulla scalinata dell'ospedale. Gli chiedono se conosca le precauzioni che dovrebbe prendere per evitare il contagio. Fa segno di no. Un operatore dell'UNICEF gli spiega che è fondamentale lavarsi le mani prima e dopo essere andati in gabinetto, e prima e dopo i pasti. Fa cenno con la testa di avere capito.

Seduta su una panchina di legno c'è Katlie, madre di tre figli. Il suo sguardo sembra perso nel vuoto, mentre guarda la lunga file di pazienti che aspettano di essere esaminati dalle infermiere.

Sua figlia Kershel, 3 anni, sta male da tre giorni. «Per lo più soffre di diarrea, ma piange molto».

Le chiedo se ha paura. Risponde di no. Ha ascoltato i messaggi diffusi via radio su come affrontare l'epidemia. «Prendo le mie precauzioni. Mi lavo le mani e bevo solo acqua bollita. Faccio quello che hanno consigliato di fare alla radio

Non tutte le persone in fila qui sono altrettanto consapevoli. E molti continuano a venire qui per altre cure, rischiando il contagio.

Elmama Elcena, ad esempio, è qui per suo figlio Jeff, di 6 anni, che soffre di febbre tifoide e ha bisogno di altri farmaci. «L'ho portato con me perché non va a scuola» mi dice. «La scuola è chiusa per via dell'epidemia

Quando le chiedo se non sia preoccupata di portare suo figlio qui, dove è pieno di gente infettata dal colera, si stringe nelle spalle. «Ma lui ha bisogno delle medicine!»

26/10/2010

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