Un telefono amico
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A Dacca, grazie all’UNICEF, da pochi mesi è stato istituito un numero verde, il 1098 per i bambini in difficoltà. La centrale operativa è un’angusta stanza dove c’è un’operatrice che risponde alle chiamate e due giovani pronti a recarsi sul posto con un baby taxi (un’ape). Le segnalazioni giungono sia dai bambini che dagli adulti.
L’esistenza di questa child helpline è stata promossa attraverso diversi strumenti di comunicazione: dagli annunci radiofonici, all’uso di altoparlanti nelle strade, a cartelloni pubblicitari. Uno speciale accordo è stato fatto con le farmacie che permettono ai bambini di telefonare. In un mese sono giunte 180 telefonate, poche rispetto all’enormità dei bambini che subiscono violenza.
Il più delle volte sono segnalazioni che allertano su bambini a rischio di violenza; il rapporto con la polizia è molto stretto – d’altro canto l’UNICEF ha lavorato molto affinché si legiferasse per istituire una polizia specializzata a trattare con i minori, modificando il comportamento usuale di considerare la vittima un piccolo criminale.
La polizia è di grande aiuto quando l’abuso avviene nel chiuso delle mura domestiche dove si consuma il maggior numero di violenze. L’autorità e la soggezione suscitate dalla divisa possono rappresentare un deterrente alla violenza in alcune realtà familiari. Anche in questo caso, dopo l’emergenza, diventa fondamentale il ruolo dei servizi sociali e delle Ong locali che si prendono carico della famiglia, seguendo gli sviluppi.
Data l’ampiezza e il traffico della città, ci sono molti volontari sparpagliati nei diversi quartieri che garantiscono una risposta tempestiva, specie quando la segnalazione arriva da un luogo lontano.
La soria di Mitu
Stanotte l’unità mobile dell’UNICEF ha salvato Mitu, bimba appena dodicenne dipendente dalla cosiddetta droga dei poveri, che poi sarebbe l’inalazione dei fumi della plastica bruciata [N.d.r. Leggi qui la storia di Mitu e il resto dello speciale che Famiglia Cristiana ha dedicato alla missione di Kledi in Bangladesh].
Gli angeli del baby taxi l’hanno portata in questo piccolo centro di accoglienza nel cuore della città vecchia dove ci sono 5 posti letto. Mitu adesso dorme nel suo pigiama a fiori, abbassiamo lo sguardo e gli obiettivi per non violare il suo sonno di bimba. Sappiamo solo che sarà tenuta qui per 72 ore e poi portata in un centro dove verrà disintossicata, gestito da un’Ong specializzata nel recupero.
A poche centinaia di metri da questa casa protetta e difesa, c’è un altro alloggio dove vivono bambine abbandonate o fuggite spontaneamente dalle loro famiglie. Le unità mobili le rintracciano nelle vie della città e le convincono a trovare rifugio in questo centro e a non vivere per strada. Qui dormono, mangiano, studiano e giocano. C’è un’atmosfera serena, quasi leggera; c’è odore di cibo buono che proviene da enormi pentoloni dove due signore stanno preparando il pranzo.
Ma ogni bimba ha il suo dramma che si esprime nella ricerca del contatto fisico, nel calore con il quale ti travolgono nei giochi, nella gioia con la quale danzano per noi.
Anche questa è una situazione transitoria perché l’obiettivo è là dove possibile riportare queste bambine nelle loro famiglie, magari intervenendo con un aiuto economico a patto che vengano trattate bene, vadano a scuola, non siano costrette a lavorare. I servizi sociali si fanno carico di seguire questo percorso di reinserimento.
Se tutto ciò non è possibile, se le bambine vengono rifiutate o si rifiutano di tornare in contesti familiari violenti, possono restare in questo centro fino a 14 anni. Poi andranno in una casa famiglia. Il centro che visitiamo ospita 71 bambine. Nella sola Dacca ci sono altri 8 centri come questo, 4 per i maschi e 4 per le femmine.
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