L'orfanotrofio non è la soluzione
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L’UNICEF ha studiato un programma di sostegno alle famiglie più vulnerabili o dove sono morti uno o entrambi i genitori. L’obiettivo è evitare che gli orfani abbiano come destino ineluttabile quello di finire in un orfanatrofio. Incontriamo due famiglie che hanno beneficiato con successo di questo progetto nel villaggio di Amader, nel distretto di Bagerhat.
Qui sono rimasti orfani 270 bambini sotto i 18 anni. Il genitore solo o la famiglia che accoglie al suo interno il bambino rimasto solo riceve circa 22 dollari al mese – quanto il governo spende a bambino per tenerlo in orfanotrofio – per 19 mesi a patto che possa andare a scuola, che non sia costretto a fare lavori pericolosi o a sposarsi prima dei 18 anni.
La famiglia beneficiaria viene anche invitata a investire parte del denaro che riceve in attività in grado di produrre reddito; sono molte le donne rimaste vedove a seguito dei cicloni (i loro uomini erano per lo più pescatori che hanno perso la vita in mare) e pur essendo analfabete vengono invitate a fare un salto di qualità, ad esempio i soldi non vengono dati in contanti. Questo implica l’apertura di un conto corrente bancario che per una donna il più delle volte analfabeta è un modo per acquisire nuove competenze.
Il progetto sta funzionando: dopo 19 mesi di aiuto economico la famiglia non ha più bisogno di questo sussidio perché è diventa autosufficiente. C’è chi ha comprato una vacca o delle capre, chi un pezzo di terra per coltivare o per affittarla ad altri contadini. Questo successo è anche un modo pratico per indirizzare il governo a investire sulle comunità piuttosto che a coprire i costi di istituti dove i bambini non godranno mai del calore di una famiglia.
È una finestra verso il futuro che viene data a chi il futuro l’ha visto sfuggire tra i fiotti delle acque impazzite. «Cosa voglio fare da grande?» risponde Hida, 14 anni, occhi intensi e seri. «Voglio diventare magistrato, era il sogno di mio papà prima che morisse».
E ritornano in mente le parole del Vice rappresentante dell’UNICEF Michel Saint-Lot, quando ci salutiamo a fine viaggio. «È importante che le condizioni di vita di questi bambini cambino. Ma per certi versi siamo ancor più ambiziosi. Vorremmo creare nuovi sogni nella vita verso i quali essi possano muoversi».