Sud Sudan, diario di viaggio / 2 - La fame vista da vicino
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Giorno 2 - Kuajok
Il giorno seguente ci spostiamo da Wau a Kuajok, capitale dello stato di Warrap [il Sud Sudan è una federazione le cui sottounità hanno natura di Stati]. Kuajok è una capitale, ma non c’è nulla. Gli edifici sono pochissimi, per lo più capanne, di terra, fango o piante secche.
Arriviamo presso l’Ospedale, una struttura supportata dall’UNICEF soprattutto per progetti relativi a vaccinazioni, gravidanze e cure preventive per la trasmissione madre-figlio dell’HIV. L’UNICEF ha donato all’ospedale tutto: dai generatori, alla catena del freddo, dai vaccini, alla formazione di personale medico locale.
L’Ospedale di Kuajok offre la possibilità di effettuare il test dell’HIV e i controlli di base, ma soprattutto mette le donne e i loro figli nelle condizioni di esser seguiti nel proprio iter sanitario. Assistiamo alla visita di una donna incinta all’ottavo mese.
Non è la prima volta che si rivolge a questo centro, è la sua terza visita. Aspetta il secondo figlio, lei ha 20 anni e il suo primogenito è nato in casa, però lo ha portato qui per le vaccinazioni. Il secondo sarà seguito sin dal parto dallo staff medico di turno.
Fuori, sotto la balaustra all’ombra ci saranno altre 15-20 madri con altrettanti bambini: aspettano tutti il momento della loro vaccinazione, come Christina Arek che ha portato sua figlia di 5 mesi. Christina ha fatto vaccinare tutti i suoi figli. Poi c’è Akol Magok, lui ha 10 mesi e deve ricevere l’ultimo ciclo di vaccinazioni. Non è nato in ospedale, ma a casa. Quando gli fanno la prima puntura scoppia in un forte pianto. È bello che il suono dei suoi lamenti sia così, mi sembrano una promessa per il suo futuro.
Una bambina riceve una dose di vaccino nell'ospedale di Kuajok - ©UNICEF Italia/2012/Paolo Siccardi
Nel pomeriggio visitiamo il Centro per la lotta alla malnutrizione, nel campo per "returnees" [i cittadini di nazionalità sud-sudanese che hanno fatto ritorno in patria o sono stati espulsi dal Sudan dopo l'indipendenza del nuovo Stato]. Per la precisione ci rechiamo al "Blocco 14", nella località di Mayen–gumel.
Il Blocco 14 - come gli altri blocchi - è stato creato dai returnees in questi mesi, prima di allora non c’era niente attorno al centro di Kuajok. Ci sono persone tornate in Sud Sudan e che hanno iniziato a costruire le proprie abitazioni, capanne, vivendo lì senza acqua, senza rispettare regole igienico-sanitarie di base, in mezzo al nulla.
Al Centro nutrizionale ci saranno almeno una cinquantina di persone accalcate le une sulle altre. Paula Nuer, responsabile del programma Salute dell’UNICEF Sud Sudan a Wau ci spiega ciò che i nostri collaboratori fanno: screening dei bambini e delle madri, misurazione di peso, altezza e circonferenza delle loro braccia con un braccialetto colorato (MUAC) che va dal verde al rosso in base al grado di malnutrizione.
Paula ci spiega che il braccialetto MUAC serve a riconoscere se un bambino è gravemente malnutrito o meno e quindi a predisporre per lui cure appropriate per un ciclo massimo di 3 mesi, oltre il quale è il caso di reinviarli al centro di Gogrial, più a nord.
Abbiamo l’opportunità di assistere a una visita. C’è una madre, avrà circa 25 anni: magrissima, una cicatrice enorme sopra al seno destro, porta in braccio un bambino. Due occhi grandi e neri, una pancia gonfia, le braccia magrissime. Si chiama Ding, ha un anno, ma dimostra 6 mesi. La sua circonferenza brachiale è di 7 centimetri. Ding è il sesto figlio della sua famiglia, è malnutrito da troppo tempo.
Una madre con il suo bambino, entrambi malati di tubercolosi. Immagine scattata nel Centro per la lotta alla malnutrizione di Gogrial, nel Sud Sudan - ©UNICEF Italia/2012/Paolo Siccardi
La mamma ci racconta che, per la mancanza di cibo, non ha prodotto più latte e quindi il bambino non ha potuto sfamarsi abbastanza. Ding è entrato nel programma trimestrale del centro di Kuajok. Paula Nuer ci dice che se il bambino non si riprenderà entro 3 mesi, dovranno trasferirlo al centro di Gogrial.
I problemi purtroppo sono tanti, a cominciare dalla distanza (ad esempio, Ding e la sua famiglia abitano a 3 ore di cammino da qui) alla necessità di controlli frequenti per i bambini inseriti nel programma.
Purtroppo, a causa della diffusa carenza di cibo, se vengono distribuiti alimenti iperproteici si corre il rischio che questi - destinati a singoli bambini con precisi dosaggi - possano essere condivisi tra tutti i bambini della famiglia, vanificando il protocollo nutrizionale. Proprio per questo il monitoraggio dei bambini deve essere frequente.