Sud Sudan, diario di viaggio / 5 - Guardando la fame negli occhi
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Giorno 5 - Gogrial, Kuajok
È il nostro ultimo giorno a Kuajok. Tra qualche ora torneremo a Wau e poi ci sposteremo a Juba, per poi ripartire per l’Italia.
Andiamo al Centro per la lotta alla malnutrizione di Gogrial. Questo è il centro più grande nello Stato di Warrap [Sud Sudan settentrionale] al quale si rivolgono persone in condizioni davvero molto critiche.
Quando arriviamo, mi giro verso una balaustra di legno, mentre aspettiamo che ci aprano il cancello.
Lo vedo lì. Ciò che avevo già visto centinaia di volte, ma dal vivo è scioccante. Un bambino, avrà avuto un anno, seduto ai piedi della madre con almeno 15 mosche che gli ronzano attorno alla bocca. La pancia è gonfia, ci guarda come a chiederci: chi siete, cosa siete?
Capisco subito come continuerà la mia giornata.
Ci presentano uno dei medici responsabili del centro. Ci sono almeno un centinaio di persone che aspettano tra cure e visite. Bambini che devono prima pesarsi e poi misurare la propria circonferenza brachiale. Tante stanze diverse.
Il cielo oggi è nuvoloso e noi ci addentriamo tra le varie stanze, facendo attenzione a non disturbare o a non esser invadenti.
C’è il reparto per la prevenzione della trasmissione madre-figlio dell'HIV/AIDS, il reparto per bambini e donne gravemente malnutriti, quello per donne e bambini che soffrono di tubercolosi.
Una madre con il suo bambino, entrambi malati di tubercolosi. Immagine scattata nel Centro per la lotta alla malnutrizione di Gogrial, nel Sud Sudan - ©UNICEF Italia/2012/Paolo Siccardi
Durante la visita al centro non abbiamo parlato molto, abbiamo più che altro ascoltato madri con i propri figli, nonne con i nipoti, persone che senza sapere né perché né come si sono ritrovate in un ospedale per salvare la propria vita da una condizione di sopravvivenza già difficile.
Il lavoro dell’UNICEF qui è di vitale importanza. Alle persone vengono distribuite zanzariere e somministrati vaccini, si fanno screening, si danno cure per arginare i decorsi di malattie, si consegna loro una speranza di vita maggiore.
Giorno 6 - Roma
Sono tornato in Italia da due ore al massimo. Arrivo a casa, metto a lavare tutto, svuoto la valigia, lo zaino.
Guardo le mie scarpe da ginnastica, sono rosse, come l’Africa che ho visto.
Mi infilo sotto la doccia, non ho bisogno di tenere la testa inclinata all’indietro. Mi lavo i denti, non ho bisogno di una bottiglia d’acqua sigillata per lavarli. Ho mal di testa, prendo un’aspirina. Accendo il computer, mi sdraio sul letto.
Io ho tutto, acqua potabile, luce, farmaci. Tutto a portata di mano.
Vorrei tornare indietro, ma posso solo andare avanti, ripensando alle fotografie scattate e agli sguardi che hanno reso unica questa missione.
Penso solo che posso fare del mio meglio perché tutti possano provare quel che io sento adesso, nel momento in cui sono steso sul mio letto pulito, con la mia acqua potabile, la mia aspirina a portata di mano ed un computer attraverso il quale raccontare tutto quello che ho sentito.