Coronavirus e rischi per l'infanzia, cosa c'è da sapere
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Cos'è il "coronavirus"?
L'allarme a livello internazionale è scattato il 31 dicembre 2019, allorché le autorità sanitarie cinesi hanno riferito all'OMS l'esistenza di un focolaio di polmonite provocata da un virus finora sconosciuto nella città di Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei e più popolosa metropoli della Cina centrale con circa 11 milioni di abitanti.
Il 7 gennaio 2020 gli epidemiologi cinesi hanno identificato la causa del focolaio epidemico in un nuovo virus, denominato inizialmente 2019-nCoV e, a partire dall'11 febbraio, SARS-CoV-2.
All'origine del virus si ritiene vi sia stato un animale infetto transitato nel grande mercato ittico di Wuhan, dove vengono abitualmente commercializzati anche animali vivi come serpenti o pipistrelli. Ricostruendo la storia delle mutazioni genetiche del virus, i ricercatori hanno dedotto che il passaggio iniziale dal pipistrello all'uomo è avvenuto intorno a metà novembre 2019 per poi esplodere in forma epidemica circa un mese dopo grazie alla trasmissione inter-umana.
Il nuovo virus appartiene alla vasta famiglia dei coronavirus, la stessa di cui fanno parte il comune raffreddore ma anche le ben più insidiose SARS e MERS (una malattia epidemica diffusa in Medio Oriente sin dal 2012). In particolare, il nuovo coronavirus ha una affinità genetica stretta con il patogeno vettore della SARS, circostanza che motiva la sua denominazione ufficiale..
L'OMS ha attribuito anche un nome scientifico alla specifica forma di polmonite innescata dal coronavirus SARS-CoV-2: una nuova malattia denominata COVID-19 Gli effetti provocati dai virus sono per lo più febbre, tosse e difficoltà respiratorie, con complicanze che possono però compromettere anche in modo letale la salute dei soggetti più vulnerabili.
il 2 febbraio 2020 un team di ricercatori dell'ospedale "Lazzaro Spallanzani" di Roma ha isolato il virus - tra i primi laboratori al mondo a riuscirci - mettendone le sequenze genetiche a disposizione della comunità scientifica internazionale.
Come si trasmette il coronavirus
Originariamente confinato in una o più specie di animali selvatici (i cosiddetti animali-serbatoio), il SARS-CoV-2 ha subito una serie di variazioni genetiche fino a compiere il "salto di specie" che lo ha reso trasmissibile all'essere umano.
Il contagio da persona a persona avviene per contatto a breve distanza e non per via aerea: ciò significa che si può contrarre il virus attraverso uno starnuto o un colpo di tosse emesso da un soggetto malato entro un raggio di circa un metro.
Le misure di estrema cautela attivate dalle autorità sanitarie sono motivate anche dalla ormai accertata possibilità di trasmissione asintomatica del virus da parte di soggetti che non presentano ancora i tipici sintomi dell'infezione (febbre, tosse secca, dolori muscolari e difficoltà respiratorie).
Tra gli esperti è acceso il dibattito sulla possibilità che nel periodo di incubazione del virus (stimato convenzionalmente in 14 giorni) la carica virale sia sufficiente a innescare il contagio da parte di un soggetto in fase asintomatica.
Si ritiene che tuttavia che tale probabilità sussista, e che essa aumenti negli ultimi giorni prima dell'insorgenza dei sintomi: questa è una delle ragioni per cui è così importante mantenere un "distanziamento sociale" generalizzato, anche rispetto a chi non manifesta alcun sintomo visibile.
Non risulta che il SARS-CoV-2 sia trasmesso dalla mamma al feto durante la gravidanza né dalla mamma al bambino durante l'allattamento (v. oltre).
Sebbene siano noti casi eccezionali di animali da compagnia che hanno contratto il virus, non vi sono studi che dimostrino la potenzialità di contagio da parte di questi ultimi verso l'uomo.
Il coronavirus non viene neppure trasmesso da zanzare, zecche o altri artropodi che ingeriscono sangue umano.
L'impatto dell'epidemia a livello globale
Il 30 gennaio, a seguito del verificarsi di alcuni contagi in diverse regioni del pianeta, l'OMS aveva dichiarato l'epidemia da coronavirus una "emergenza sanitaria globale" (Public Health Emergency of International Concern - PHEIC), qualificata il 28 febbraio di grado "molto elevato".
La dichiarazione di "emergenza globale" non è un evento straordinario: dal 2009 a oggi sono state ben 6 le dichiarazioni di questo tipo decretate dall'OMS.
L'11 marzo 2020 l'OMS ha dichiarato infine che l'epidemia di Covid-19 è ufficialmente una pandemia: la seconda della storia recente, dopo quella dell'influenzavirus H1N1 ("febbre suina") del giugno 2009.
Per l'intero mese di gennaio e buona parte di febbraio il COVID-19 è rimasto quasi esclusivamente confinato alla Cina, in particolare nella provincia di Hubei. Il 26 febbraio il numero quotidiano di nuovi contagi negli altri paesi del mondo ha superato per la prima volta quello dei contagi quotidiani avvenuti in Cina. Il 16 marzo anche il numero di vittime all'estero ha superato quelli dell'epidemia cinese. Questi dati hanno segnato il passaggio dalla fase "cinese" dell'epidemia a quella pandemica vera e propria.
A oggi casi di infezione da SARS-CoV-2 sono stati confermati in 186 Stati.
Secondo i dati più aggiornati, dal suo inizio la pandemia di COVID-19 ha contagiato nel mondo 9.564.659 persone provocando 485.673 decessi.
I paesi con il maggior numero di decessi sono Stati Uniti (124.294), Brasile (53.895) e Gran Bretagna (43.081). L'Italia, con 34.644 decessi, pari al 7,1 % delle vittime globali della pandemia, è il 4° paese al mondo per numero di morti per COVID-19.
Gli Stati in cui si sono registrati più casi di infezione da SARS-CoV-2 sono Stati Uniti (2.463.491), Brasile (1.193.609) e Russia (613.994).
L'Italia, con 239.410 casi, pari al 2,5% del totale mondiale, è scesa al 9° posto della graduatoria globale dei contagi da COVID-19, dopo essere stata per mesi tra le prime 3.
Coronavirus e letalità
Secondo le stime epidemiologiche del China Center for Disease Control and Prevention, l'infezione da Covid-19 avrebbe un tasso indicativo di letalità* di circa il 2,3%, ben inferiore dunque a quello della SARS (10%) o dell'Ebola (50%).
Tuttavia, le stime più recenti dell'OMS (3 marzo) aumentano questa stima al 3,4%.
In Italia il tasso di letalità appare sorprendentemente elevato: 13,9% secondo le ultime stime dell'Istituto Superiore di Sanità (10,7% tra le donne, 17,7% fra gli uomini).
Secondo la quasi totalità degli analisti, questo dato anomalo si spiega con la insufficiente rilevazione dei casi di positività al virus, soprattutto dei soggetti asintomatici, che sono ragionevolmente molte centinaia di migliaia, e secondo alcune stime persino 5-6 milioni.
Al netto di queste distorsioni statistiche, il coronavirus sembra comunque essere meno letale, ma più contagioso rispetto alla SARS - la patologia geneticamente più vicina.
*Come sottolinea l'OMS, il tasso di letalità di una malattia infettiva a carattere epidemico può essere stabilito con precisione solamente al termine di un'epidemia. Il rapporto tra decessi e contagi in tempo reale, riportato di seguito nel testo, è un valore approssimativo ed è usato a puro scopo indicativo.
Guarigioni e casi attivi
Viene definito guarito un paziente che, dopo avere risolto i sintomi che presentava in precedenza (guarigione clinica), è risultato negativo al SARS-CoV-2 a seguito di due test successivi, effettuati con intervallo di almeno 24 ore l'uno dall'altro. Ad oggi, il numero di pazienti che sono guariti dal COVID-19 a livello globale è pari a 5.206.678. Non meno importante per l'interpretazione dell'andamento della pandemia è il dato relativo ai "casi attivi", ossia il numero di persone che, in un dato momento, è ammalata di COVID-19.
Questo indicatore, che si ottiene sottraendo al totale delle infezioni avvenute dall'inizio della crisi il numero delle guarigioni e dei decessi, aveva toccato il suo primo picco (58.747) il 17 febbraio 2020, all'apice della crisi cinese, per poi calare progressivamente man mano che la Cina otteneva successi nell'azione di contenimento. Dall'inizio di marzo, tuttavia, il numero dei casi attivi a livello globale ha ripreso ad aumentare a causa dell'espansione dell'epidemia dapprima in Europa e poi nel resto del pianeta, ed è tuttora in costante incremento.
Attualmente il totale globale dei casi attivi ammonta a 3.872.708, 1,5% dei quali (58.242) versano in condizioni classificate come gravi o critiche.
Italia: sviluppo dell'epidemia
Il 31 gennaio, a seguito del ricovero a Roma di una coppia di turisti cinesi provenienti da Wuhan, l'Italia è entrata a far parte della lista - allora ancora molto ristretta - dei paesi raggiunti dall'epidemia di COVID-19.
L'inizio vero e proprio dell'epidemia in Italia viene però considerato il 21 febbraio allorché sono stati identificati 16 casi di infezione a Codogno (Lodi) e Vo' Euganeo (Padova). Si tratta dei primi casi di circolazione in Italia del virus (nei casi precedenti il virus era stato contratto in Cina).
A partire dal 22 febbraio l'Italia è salita improvvisamente al primo posto tra le nazioni non asiatiche per numero di casi di infezione da coronavirus, mentre il 19 marzo il nostro paese ha raggiunto il triste primato di decessi per COVID-19 al mondo, superando il numero di vittime della Cina.
A oggi nel nostro paese si sono verificati dall'inizio dell'epidemia 239.410 casi di positività al virus, in massima parte localizzati in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto, ma in varia misura presenti in tutte le Regioni.
Circa 17.000 persone positive al virus ma asintomatiche o con sintomi lievi sono attualmente sottoposte a isolamento domiciliare, mentre 1.610 sono i pazienti ricoverati in ospedale, dei quali 107 in terapia intensiva o sub-intensiva.
Complessivamente, a oggi nel nostro paese sono 186.111 i pazienti guariti e 34.644 quelli deceduti. Al momento i casi attivi in Italia sono quindi 18.655.
Italia: le misure di contenimento
Nel nostro paese erano stati attivati sin dall'inizio della crisi scanner termici negli aeroporti per controllare la temperatura dei viaggiatori in arrivo dalle zone a rischio, e da inizio febbraio sono stati sospesi i collegamenti aerei con Cina, Hong Kong, Taiwan e Macao. Il 31 gennaio il Consiglio dei Ministri aveva dichiarato lo stato di emergenza per la durata di 6 mesi, affidando al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, il coordinamento degli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza sul territorio nazionale.
Successivamente, con l'aggravarsi dell'epidemia, il Consiglio dei Ministri del 22 febbraio ha decretato una prima serie di misure di urgenza (in gran parte focalizzate sui Comuni coinvolti ma anche di portata nazionale, come la sospensione delle gite scolastiche) finalizzate a limitare l'estensione del contagio.
Un secondo decreto in data 4 marzo ha esteso a tutto il territorio nazionale una serie di misure per il contenimento della diffusione del virus, che comprendono la chiusura in via cautelativa di tutte le scuole e università, lo stop a manifestazioni sportive, eventi culturali e in generale a qualsiasi situazione che comporti "affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale".
Un terzo decreto del Consiglio dei Ministri emanato l'8 marzo ha esteso le misure più severe di contenimento del virus all'intera Lombardia e a 14 province ad elevata incidenza di Covid-19.
Il giorno successivo, 9 marzo, un quarto decreto (DPCM) ha esteso le medesime norme all'intero territorio nazionale.
L'11 marzo un nuovo decreto ha stabilito la chiusura di tutte le attività commerciali non essenziali. Lo stesso giorno, il Presidente del Consiglio Conte ha nominato Commissario straordinario per l'emergenza COVID-19 Domenico Arcuri. Vale la pena sottolineare che l'Italia possiede un sistema di sorveglianza e gestione delle epidemie riconosciuto anche dall'OMS come tra i più scrupolosi al mondo.
Dall'inizio della crisi a oggi sono stati effettuati sul territorio nazionale 5.107.093 test con tamponi su un totale di 3.111.364 soggetti.
Quali sono i pericoli per la salute infantile?
In generale, i virus appartenenti alla famiglia dei coronavirus sono responsabili di circa 1/5 delle polmoniti virali, e la polmonite è tuttora la prima causa diretta di mortalità infantile a livello globale, con circa 800.000 decessi annui tra i bambini di età compresa tra 0 e 5 anni (153.000 tra neonati di età inferiore a un mese), pari a un decesso ogni 39 secondi.
La polmonite è una malattia killer dell'infanzia perché i bambini, insieme agli anziani e ai malati cronici, sono i soggetti più vulnerabili alle infezioni respiratorie acute. A essere a rischio sono soprattutto i neonati e i bambini sotto i 2 anni di età, a causa della fisiologica immaturità del sistema immunitario. I bambini immunodepressi sono esposti a un rischio particolarmente elevato.
Tuttavia, nell'epidemia di COVID-19 in corso si rileva un numero di infezioni tra i bambini e i ragazzi di gran lunga inferiore rispetto a quanto avviene in altri contesti epidemici. L'età media dei contagi nel nostro paese è di 62 anni, mentre l'età media dei decessi è 79 anni.
Dall'inizio dell'epidemia in Italia si sono contate 2.099 infezioni da coronavirus SARS-CoV-2 tra i bambini 0-9 anni (in massima parte con effetti lievi o senza sintomi) pari allo 0,9% del totale, mentre nella fascia di età 10-19 anni sono 3.744, pari a 1,6% del totale.
Solamente il 2,8% dei casi tra bambini e ragazzi ha richiesto terapie in ambito ospedaliero.
Fino a oggi risultano 4 decessi e nessun ricovero in terapia intensiva di pazienti nella fascia di età compresa tra 0 e 20 anni.
Questo dato straordinariamente positivo sulla non criticità dei pazienti in età infantile e adolescenziale che caratterizza l'epidemia in Italia, ha rilevato il presidente della Società Italiana di Pediatria Alberto Villani*, è il frutto dell'eccellente gestione delle misure di contenimento, dalla "specificità pediatrica" e dalla qualità del percorso nascita nel nostro paese.
*intervento alla Conferenza stampa quotidiana della Protezione Civile, 11 aprile 2020
Fanno tragica eccezione i decessi di bambini avvenuti in altri paesi (Belgio, Regno Unito, Francia, Stati Uniti)
Per spiegare il fenomeno della resistenza di bambini e giovani all'attacco del coronavirus sono state avanzate diverse possibili ipotesi, fra le quali "l'allenamento" del sistema immunitario dei più piccoli grazie anche alle vaccinazioni.
Non vi sono prove che il virus possa essere trasmesso dalla donna in gravidanza al nascituro o dalla mamma in allattamento al neonato. L'Istituto Superiore di Sanità ha negato che sia mai stata rilevata traccia di proteine virali nel liquido amniotico, nel cordone ombelicale, nel colostro o nel latte materno di una donna infettata dal SARS-CoV-2.
L'UNICEF raccomanda dunque alle donne in gravidanza o in allattamento che vivono in zone considerate a rischio di applicare le normali misure di igiene raccomandate per l'intera popolazione (lavaggio frequente delle mani con sapone o soluzione alcolica, coprire la bocca durante colpi di tosse o starnuti, ecc.).
Le sole mamme con sintomi influenzali dovrebbero per precauzione utilizzare una mascherina quando sono a stretto contatto con il bambino (anche durante l'allattamento).
Per approfondimenti sul tema dell'allattamento durante l'epidemia di COVID-19 proponiamo questo documento dell'OMS da noi tradotto in italiano.
In attesa di ulteriori studi clinici, è importante applicare anche ai bambini tutte le misure di prevenzione e igiene consigliate dalle autorità sanitarie, incluso l'uso delle mascherine protettive (qui alcune indicazioni pratiche dell'Associazione Culturale Pediatri)
Altrettanto importante è che i bambini proseguano senza interruzioni o ritardi le vaccinazioni secondo le scadenze previste dal calendario vaccinale.
Gli psicologi consigliano di spiegare ai bambini (in modo adeguato al grado di comprensione e alla maturità emotiva di ciascun soggetto) ciò che sta avvenendo intorno a loro. Non ricevere spiegazioni dagli adulti in un contesto di tensione ben percepibile rischia infatti di generare un'ansia ancora maggiore rispetto a quella che può generare una consapevolezza ben gestita.
Ci sono cure per questa malattia?
A differenza della comune polmonite batterica, quella del COVID-19 non può essere curato con gli antibiotici.
Al momento non esistono farmaci antivirali specifici. Mentre sono in via di sperimentazione diversi farmaci già esistenti per altre malattie o combinazioni di essi, la terapia consiste soprattutto nell'alleviare i sintomi con anti-infiammatori, antipiretici e idratazione (nei casi più gravi con respirazione assistita) e nel più rigoroso isolamento del paziente. Non esiste al momento neanche un vaccino. come del resto neppure per le precedenti epidemie di SARS e MERS. Le dimensioni della pandemia di COVID-19 hanno tuttavia indotto aziende farmaceutiche e centri di ricerca pubblici e privati di tutto il mondo a dedicare investimenti e risorse umane in una corsa contro il tempo senza precedenti alla messa a punto di un vaccino.
Creare un vaccino stabile ed efficace è impresa assai più complessa di quanto la maggior parte delle persone pensi. Il processo completo dura mediamente 6 o 7 anni e può richiedere investimenti per non meno di un miliardo di dollari.
Deve quindi essere considerato straordinario il fatto che dopo appena poco più di 2 mesi dal sequenziamento del genoma del coronavirus SARS-CoV-2 (11 gennaio) si registrava già (16 marzo) l'inizio della sperimentazione clinica di un primo potenziale vaccino.
L'OMS rende noto che a oggi sono 16 i candidati vaccini approdati alla Fase I o II della sperimentazione clinica, mentre altri 125 potenziali vaccini sono nella fase pre-clinica.
Fra i potenziali vaccini nella fase più avanzata della sperimentazione c'è anche quello denominato ChAdOx1, ideato dalla partnership tra l'Istituto Jenner dell'Università di Oxford e l'azienda farmaceutica Advent del Gruppo IRBM con sede a Pomezia, in provincia di Roma. Si tratta dell'unico candidato vaccino che finora è approdato alla terza e ultima fase della sperimentazione pre-produzione, il trial clinico su un numero esteso di pazienti sani e malati.
In attesa di farmaci o vaccini specifici, la "medicina" più immediata ed efficace contro il coronavirus è dunque continuare a impedire che esso continui a propagarsi, limitando al minimo indispensabile gli spostamenti e interponendo DPI e distanze interpersonali di sicurezza tra i soggetti.
Per saperne di più leggi l'articolo dedicato allo stato attuale della ricerca di un vaccino anti-COVID.
Perché bisogna prendere il coronavirus sul serio
Ci sono diverse ragioni che inducono a considerare la pandemia di COVID-19 come un'emergenza sanitaria internazionale da prendere assolutamente sul serio..
La prima, elementare ragione, è che si tratta di una nuova malattia alla quale siamo tutti potenzialmente esposti, privi di anticorpi specifici e senza poter ancora beneficiare di vaccini per prevenirla o di farmaci per curarla.
È quindi del tutto comprensibile che la comunità internazionale si mobiliti per bloccare sul nascere il COVID-19: il mondo non ha certamente bisogno di nuove malattie, soprattutto se estremamente contagiose e con complicanze talvolta letali.
Qualcuno ha obiettato che il nuovo coronavirus ha sintomi non dissimili a quelli della comune influenza, che colpisce ogni anno circa circa un italiano su dieci (5,6 milioni i casi quest'anno), provocando in una parte della popolazione colpita complicanze gravi che possono condurre alla morte.
Inoltre, proprio come l'influenza, il SARS-CoV-2 colpisce in forma grave soprattutto persone anziane, e ha effetti letali quasi esclusivamente per soggetti con salute già compromessa per altre patologie (tumori, diabete, disturbi cardiovascolari, obesità).
Questo vuol dire che il coronavirus va considerato alla stregua della comune influenza? La risposta è no.
In primo luogo, per l'influenza esiste un vaccino efficace, mentre per il SARS-CoV-2 ancora no.
Se analizziamo i decessi avvenuti per influenza in Italia nella scorsa stagione invernale, scopriamo che l'80% delle vittime non si era vaccinata: questo dato ci fa capire quanto un vaccino faccia la differenza, e quanto sia rischiosa la negligenza vaccinale, soprattutto per i soggetti a rischio (anziani, malati e immunodepressi).
In secondo luogo, la comune influenza stagionale ha tassi di complicazioni gravi (1 ogni 36.000*) e di letalità (1 decesso ogni 187.000 malati*) molto bassi.
* NB i dati sono riferiti al sistema di sorveglianza epidemiologica dell'influenza per l'Italia nella stagione 2019-2020, fonte Istituto Superiore di Sanità. Lo stesso ISS avvisa che per stimare la mortalità complessiva dell'influenza occorre una metodologia complessa, che includa anche i ben più numerosi decessi in cui l'influenza interviene come concausa. Secondo l'ISS dunque il numero reale delle vittime dell'influenza in Italia è di circa 8.000 l'anno, con un tasso di letalità attorno allo 0,15%.
Nella malattia COVID-19, al contrario, le complicazioni gravi sono assai più frequenti (circa 1 caso su 7) e gli esiti letali si aggirano intorno al 3% (20 volte di più rispetto all'influenza).
Ora, un tasso di letalità del 2-3% può apparire molto basso, se comparato a malattie come la SARS del 2003 in Cina (9,6%) o dell'Ebola in Africa occidentale (dal 25 al 90% a seconda dei focolai, dato OMS).
Su questo aspetto è intervenuto il noto virologo Roberto Burioni, uno dei massimi esperti in materia, ricordando come il tasso di letalità della "spagnola" - la pandemia influenzale che nel 1918-20 provocò tra 50 e 100 milioni di morti - non fosse superiore al 2%, ma con una contagiosità altissima (si ammalarono all'epoca circa mezzo miliardo di persone in tutti i continenti).
In altre parole, la pericolosità del coronavirus va considerata non solo per il numero effettivo di decessi che registriamo oggi, ma per il numero potenziale di vittime che si avrebbero se la pandemia si estendesse ai paesi dell'emisfero meridionale, le cui strutture sanitarie non riuscirebbero a reggere l'urto di un'ondata di malattie respiratorie acute.
Inoltre, ben prima di raggiungere quei livelli, la pandemia sta già minacciando di mettere in ginocchio i sistemi sanitari nazionali (inclusi quelli dei paesi più avanzati) innalzando il numero di pazienti bisognosi di terapie intensive ben al di sopra delle capacità esistenti.
"La finestra di opportunità c'è ancora, ma si sta restringendo" ha affermato il direttore dell'OMS Tedros Adhanom Gebreyesus. "Dobbiamo agire il più rapidamente possibile prima che questa finestra si chiuda."
Isolare rigorosamente i soggetti contagiati, applicare con scrupolosità le misure di contenimento previste dalle autorità sanitarie, sostenere la ricerca di farmaci e vaccini specifici e contrastare panico e fake news ("infodemia") sono le azioni che contribuiscono a tenere aperta quella finestra di opportunità di cui parla il leader dell'OMS.
L'azione dell'UNICEF
L'UNICEF, presente stabilmente in Cina sin dal 1979 con programmi di assistenza all'infanzia, ha offerto alle autorità sanitarie locali la propria piena disponibilità a sostenere la risposta all'emergenza in corso.
Il 29 gennaio un aereo cargo con attrezzature sanitarie, partito dalla centrale logistica della UNICEF Supply Division a Copenaghen, ha raggiunto Shangai per poi proseguire il viaggio verso Wuhan, epicentro della crisi. A questo primo contributo nel contrasto all'epidemia ne seguiranno presto altri. L'UNICEF ha lanciato un primo appello umanitario da 42,3 milioni di dollari, necessari per finanziare le campagne di informazione e prevenzione sanitaria in Cina e in altri paesi dell'Estremo Oriente colpiti dall'epidemia e per proseguire gli interventi di sostegno psicologico e istruzione a distanza per i bambini impossibilitati a frequentare la scuola.
Successivamente, l'appello è stato ricalibrato a 651,6 milioni di dollari, sulla base degli scenari più realistici della pandemia, nel quadro del più ampio Appello Globale dell'ONU da 2 miliardi di dollari per il contrasto del COVID-19.
A maggio l'UNICEF ha definitivamente calibrato l'entità dell'Appello 2020 per l'emergenza COVID-19 alla cifra record di 1,6 miliardi di dollari.
In queste settimane l'UNICEF ha condotto interventi umanitari - dalla fornitura di grandi quantitativi di dispositivi per la protezione individuale alla realizzazione di campagne di informazione sanitaria all'aiuto tecnico ai governi per fronteggiare l'epidemia - in numerosi paesi di Asia (Cina, Malesia, Filippine, Pakistan, Afghanistan, Bhutan, Laos, Indonesia, Iran), Africa (Algeria, Nigeria, Liberia), Medio Oriente (Palestina) e America Latina (Venezuela).
Bambini e adulti in coda per effettuare controlli in un ospedale di Phnom Penh (Cambogia) - © UNICEF/UNI288092/Tang Chhin Sothy/AFP-Services
Fonti dei dati e delle informazioni riportate in questo documento
- Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
- Istituto Superiore di Sanità (ISS)
- Protezione Civile
- The Lancet (rivista medica internazionale)
- Johns Hopkins University (JHU)
- UNICEF
Ultimo aggiornamento: 25/06/2020