Essere bambini durante la guerra: Paolo racconta la sua storia
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Avevo 7 anni e vivevo con i miei genitori e mia sorella di 5.
Ricordo tutto: gli allarmi aerei con il suono delle sirene che ci svegliava e dovevamo correre nel rifugio antiaereo nel sotterraneo. Subito sono scomparsi i giocattoli, i dolciumi ma anche gli abiti e le scarpe.
Mancavano anche l’acqua, il gas e l’elettricità. L’incubo finì il 4 giugno del 1944, quando le truppe americane entrarono a Roma. Ricordo soprattutto la gioia con cui noi bambini circondavamo le jeep dei soldati alleati per ricevere dalle loro mani cioccolata, caramelle e gomme da masticare.
Ricordo i pacchi con la scritta “Care”: che aprivo felice, scoprendo dentro ogni possibile alimento e integratori di vitamine. Fu come, metaforicamente, risorgesse il sole dopo una notte buia e piena di pericoli. Noi bambini da quella grande guerra abbiamo imparato l’importanza della solidarietà umana.
Durante un mio viaggio in Senegal sono rimasto colpito dai bambini che hanno circondato il pullman di noi turisti. Tendevano le mani e sorridevano, proprio come avevo fatto io con i militari americani. Un bambino faceva fatica a camminare a causa di una gamba rattrappita dalla poliomielite.
Ho pensato che sarebbe bastato un vaccino per salvarlo e quando ho scoperto che l’UNICEF è il principale fornitore di vaccini al mondo e vaccina ogni anno quasi la metà di tutti bambini, ho deciso. Ho deciso che avrei fatto un lascito testamentario.
Per me, aiutare l’UNICEF è il modo migliore per aiutare tutti i bambini del mondo!
Paolo, donatore dell'UNICEF