Global Outlook 2025: alle radici del debito dell'infanzia
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Il debito dei Paesi poveri era un tema molto in auge nel dibattito sullo sviluppo degli anni Ottanta e Novanta, epoca in cui fioriva il movimento globale contro le politiche di “aggiustamento strutturale” imposte dal Fondo Monetario Internazionale, accusate anche dagli economisti dell’UNICEF di pregiudicare lo sviluppo umano e il benessere delle nuove generazioni*.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata. Del debito parlano in pochi (Papa Francesco è fra questi) e il FMI, con la crescente attenzione dei suoi prestiti verso la protezione sociale e l’aspetto distributivo, è finito nella lista dei “buoni”. Eppure l’indebitamento dei Paesi in via di sviluppo non è mai stato così alto: 29 trilioni di dollari nel 2023, quasi il quadruplo rispetto ai livelli del 2010. Quella del debito è una delle 5 dimensioni della crisi globale prese in esame dal nuovo rapporto “Global Outlook 2025”, presentato lunedì dal Centro studi globale dell’UNICEF Innocenti.
Alle radici del debito
Nel mondo circa 400 milioni di bambini vivono in paesi gravemente indebitati. Ma da dove nasce il debito? Alla base questo fenomeno ci sono diversi fattori.
Crescita rallentata
In Italia ci siamo abituati a tassi di crescita economica inferiori o poco superiori all’1% annuo. Sono livelli inferiori alla media OCSE, ma pur sempre compatibili con il ritmo di espansione di un’economia matura e sempre esposta al rischio della recessione. Nei Paesi emergenti, invece, la norma è un tasso di crescita elevato. Prima della pandemia di COVID-19, il PIL dei paesi emergenti cresceva mediamente del 5,6% all’anno: attualmente, questo tasso è sceso al 4% e gli esperti prevedono che non migliorerà prima del 2029.
Scarse entrate fiscali
Quando la popolazione è povera e l’economia in buona parte informale, le tasse portano allo Stato che le riscuote poche risorse. Oggi la media delle entrate fiscali nei Paesi a basso e medio reddito si aggira intorno all’11%, ben al di sotto di quel 15% considerato il limite minimo per sostenere i servizi di base e gli investimenti strategici.
Rincaro dei prestiti
Gli investitori non prestano facilmente soldi ai poveri, e quando lo fanno chiedono garanzie esorbitanti. Per contrarre un prestito obbligazionario in favore di un paese africano, gli investitori esigono un rendimento da 6 a 12 volte maggiore di quanto quel medesimo investimento comporterebbe in un paese considerato sicuro, come la Germania.
Qualità deteriorata dei finanziamenti
I finanziamenti non sono tutti uguali. Quelli “buoni” comportano tassi di interesse bassi e tempi di restituzione pluridecennali. Ma oggi i prestiti “cattivi” stanno soppiantando le sovvenzioni, e i creditori privati senza volto (fondi di investimento e banche d’affari) stanno sostituendo gli Stati e le organizzazioni multilaterali. Inoltre, nuovi creditori come Cina, India o paesi del Golfo associano spesso i propri prestiti a contropartite che condizionano pesantemente lo sviluppo dei paesi che li accettano, mirando a creare una dipendenza commerciale e politica nei confronti dei benefattori.
Spese militari
In un mondo sempre più insicuro, tutti si armano, poveri inclusi. Dal 2021 a oggi, 85 Stati hanno incrementato significativamente le spese per la difesa, e fra i primi 35 ci sono ben 11 Stati dell’Africa Subsahariana. Per farlo, i rispettivi governi hanno sottratto preziose risorse alla spesa pubblica e contratto pesanti debiti con l’estero.
L’impatto del debito sull’infanzia
L’alto costo per il servizio del debito riduce drasticamente gli investimenti in settori essenziali come istruzione, sanità e protezione sociale. A pagare il prezzo sono più di tutti i bambini: in primo luogo nel presente, poiché la mancanza di risorse compromette la capacità degli Stati di erogare servizi sociali di base alle famiglie, e nel lungo periodo, in quanto i bambini saranno domani gli adulti che dovranno sobbarcarsi il pesante onere del rimborso. Alcuni dati possono dare una misura di quanto il debito estero pesi sulle economie dei Paesi a basso e medio reddito: nel 2024, questi Paesi hanno destinato il 14% della propria spesa al rimborso dei soli interessi sul debito, il doppio rispetto a 15 anni fa. E nel 2025, il costo complessivo del servizio del debito (interessi e rimborso di capitali) arriverà ad assorbire il 47% dei bilanci, con punte del 55% nell’Africa subsahariana.
Queste pressioni stanno innescando una crisi di sviluppo, poiché i governi sacrificano sistemi pubblici essenziali per soddisfare le obbligazioni debitorie. Un’indagine su 34 Stati africani per i quali sono disponibili dati affidabili, rivela che quasi metà di essi (15) già oggi destinano più risorse al servizio del debito che all’istruzione. I tagli alla formazione degli insegnanti e alle infrastrutture didattiche compromettono la qualità dell'istruzione e lo sviluppo di una forza lavoro qualificata.
Anche i sistemi sanitari sono sotto pressione: i Paesi a basso reddito dedicano in media 1,4 volte più risorse al pagamento degli interessi sul debito rispetto a quanto investono per la salute pubblica. Questo squilibrio tra debito e sanità è pari o superiore al doppio in ben 40 Stati, e in Pakistan tocca addirittura il quintuplo.
Infine, il debito assorbe 11 volte le risorse destinate alla protezione sociale nei Paesi in via di sviluppo.
Le proposte dell’UNICEF
La cronica mancanza di investimenti in istruzione e sanità compromette il capitale umano, creando una "generazione perduta" meno qualificata, meno sana e – in prospettiva - meno produttiva. Questo non solo viola i diritti dei bambini, ma limita le prospettive economiche a lungo termine e la capacità dei Paesi di ripagare il debito. Per affrontare questa crisi, è necessaria una trasformazione radicale del finanziamento allo sviluppo, che includa il sollievo immediato dal debito e riforme strutturali.
Una proposta chiave che l’UNICEF fa propria è il “Children’s Debt Reset”, che prevede la cancellazione completa del debito per liberare risorse destinate ai servizi essenziali per i 400 milioni di bambini che vivono in Paesi in crisi debitoria. Come avviene con i mutui immobiliari in caso di momentanea difficoltà economica della famiglia, anche le rate del debito estero dovrebbero prevedere meccanismi di sospensione automatica in caso di disastri naturali o shock finanziari, per non privare i bambini più vulnerabili dei livelli minimi di assistenza. Dal punto di vista dei creditori, dovrebbe essere incrementato l'accesso alle sovvenzioni (finanziamenti agevolati), alle cosiddette “obbligazioni verdi” (titoli del debito vincolati al finanziamento di progetti di risanamento ambientale) e ad altri strumenti finanziari innovativi.
L’UNICEF considera necessario, ad esempio, un aumento di almeno 500 miliardi di dollari annui dei fondi per la cooperazione internazionale finalizzata allo sviluppo umano, se vogliamo realmente provare a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile per il 2030. In generale, chiediamo ai governi dei Paesi in via di sviluppo di dare la priorità agli investimenti sociali per tutelare il benessere dei bambini e degli adolescenti, introducendo la valutazione dell’impatto che ogni nuova decisione di indebitamento può avere sulle nuove generazioni, standardizzando le metodologie e rafforzando la gestione delle finanze pubbliche, coinvolgendo anche le comunità nei processi decisionali.
La Conferenza sul Finanziamento dello Sviluppo del 2025 a Siviglia rappresenta un’opportunità unica per ridefinire il finanziamento allo sviluppo. Investire nei bambini non è solo una questione di giustizia intergenerazionale, ma una strategia fondamentale per garantire la sostenibilità economica e prevenire future crisi finanziarie. Il costo dell’inazione, misurato in potenziale umano perso e crisi ricorrenti, supera di gran lunga quello delle riforme necessarie.
*Uno dei “manifesti” della critica alle ricette del FMI fu il celebre opuscolo edito dall’UNICEF nel 1985 “Adjustment with a human face”, successivamente divenuto un corposo manuale (prima edizione italiana nel 1989 con il titolo “Per un aggiustamento dal volto umano”), redatto da un team di economisti con importanti incarichi in ambito ONU quali l’italiano Giovanni Andrea Cornia (scomparso nel luglio 2024) e gli inglesi Richard Jolly e Frances Stewart.