Nella scuola di frontiera dove gli alunni si abituano alle bombe
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Corrispondenza dalla Giordania di Paolo Rozera, Direttore generale dell'UNICEF Italia
31 maggio 2015 - Oggi è stata una giornata molto interessante. Siamo andati a visitare situazioni di insediamenti fuori dai campi profughi.
Prima di tutto abbiamo incontrato il sindaco della municipalità di Umm Al Jilal: il signor Hassan F. Al Rahibb.
È una persona molto accogliente e ospitale con noi, così come lo è con i profughi siriani. La sua municipalità ha vari villaggi a pochi metri con il confine siriano, una municipalità di frontiera.
Lui si impegna molto nell'integrazione tra siriani e giordani che riesce anche se permangono tensioni in una zona della Giordania che vive di agricoltura di base e pastorizia.
I giordani lamentano l'aumento nel prezzo degli affitti e la scarsità dei posti di lavoro, ma nonostante questo, grazie all'impegno del governo e dell'UNICEF, la convivenza va avanti con grande senso di solidarietà verso chi scappa da una terribile guerra civile.
Oggi abbiamo visitato una scuola "Rahma" frequentata da bambini siriani e giordani. È una scuola particolare: si trova a 50 metri dal confine.
Abbiamo parlato con i bambini. Quando ci sono i bombardamenti, o raffiche di mitra troppo vicine, sanno che devono nascondersi sotto i banchi.
Durante i bombardamenti più intensi, il sindaco ha dovuto chiudere la scuola per alcuni giorni. Quando i bambini giocano a palla nel cortile se il pallone va troppo lontano nessuno lo va a prendere per paura del campo minato vicino al confine.
Eppure questa scuola con solo due classi è diventata un simbolo contro l'imposizione di uno stato di guerra che costringe alla precarietà.
Chiudere questa scuola significherebbe la perdita dell'anno scolastico per una quarantina di bambini, che non avrebbero modo di recarsi ogni giorno nella scuola più vicina, che dista più di 30 chilometri.
L'UNICEF, grazie anche al sostegno dei donatori italiani, costruirà in pochi giorni un muro di cinta, per dare più protezione e normalità alla vita scolastica dei bambini.
L'UNICEF risistemerà anche i bagni e costruirà una terza classe per permettere una meglio ripartizione degli alunni in base all'età e garantire una didattica più adeguata.
I bambini ci hanno detto che la convivenza tra loro, giordani e siriani, è tranquilla e che si sono abituati alla guerra. Quest'ultima affermazione mi ha raggelato: non possiamo permettere che i bambini si abituino alle bombe!
Abbiamo poi visitato un accampamento dei beduini siriani rifugiati nella valle del Giordano. Loro non vogliono stare in un campo profughi, troppo organizzato per la loro natura nomade.
Nulla da eccepire, anche se in questo modo bambini di 10 anni hanno frequentato solo la prima elementare e non sanno se torneranno mai a scuola. Ci sono anche ragazze già madri ad appena 16 anni, mentre una di loro, ventunenne, ha già 5 figli.
Qui il lavoro dell'UNICEF è ancora più complesso, tra il rispetto delle tradizioni e i controlli del governo giordano che cerca di monitorare il fenomeno: si fa un grande lavoro di advocacy per convincere da una parte a mandare a scuola i bambini e dall'altra il governo giordano a tollerare la loro presenza.
Qualsiasi siriano che abbiamo incontrato - uomo donna o bambino - vuole tornare in Siria appena la guerra sarà finita, senza rischiare la vita.