Rapporto ONU sull'alimentazione 2020, malnutrizione globale in aumento
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La fame colpisce un numero crescente di persone: secondo il rapporto annuale redatto dalla FAO e da diverse agenzie delle Nazioni Unite (inclusa l'UNICEF), negli ultimi 5 anni decine di milioni di individui in tutto il mondo sono passati nelle fila dei sottoalimentati cronici e molti paesi sono alle prese con molteplici forme di malnutrizione.
Stando all'ultimo rapporto sulla sicurezza alimentare globale "The State of Food Security and Nutrition in the World", pubblicato in data odierna, nel 2019 quasi 690 milioni di abitanti del pianeta hanno sofferto la fame: un numero superiore di 10 milioni di unità rispetto all'anno precedente e di quasi 60 milioni in più rispetto a cinque anni fa.
A questi si aggiungono le tantissime persone che, a causa dell’aumento nei costi dei beni alimentari e della scarsa disponibilità di mezzi economici, non hanno accesso a una dieta sana o nutriente. In totale, sono circa 2 miliardi, nel mondo, le persone che affrontano livelli moderati o gravi di insicurezza alimentare. Il maggior numero di persone che soffrono la fame si trova in Asia, ma il fenomeno si espande a velocità maggiore in Africa.
Il rapporto lancia anche un allarme relativo alla pandemia di COVID-19, prevedendo che di qui alla fine dell'anno altri 130 milioni di abitanti del pianeta cadranno nella morsa della malnutrizione cronica per le conseguenze dell'emergenza coronavirus.
Lo "Stato della insicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo" è lo studio più autorevole a livello mondiale sui progressi compiuti nella lotta alla fame e alla malnutrizione.
Il rapporto è frutto della collaborazione tra l'agenzia ONU per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD), il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP), l'UNICEF e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Nella Premessa, i leader delle cinque agenzie - Qu Dongyu, Direttore FAO, Gilbert F. Houngbo, Presidente IFAD, Henrietta H. Fore, Direttore UNICEF, David Beasley, Direttore WFP e Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore OMS - ammoniscono che "a distanza di cinque anni dall'impegno assunto dalla comunità internazionale per porre fine alla fame, all'insicurezza alimentare e a tutte le forme di malnutrizione entro il 2030, siamo ancora ben lontani dal raggiungere questo obiettivo.”
La fame nel mondo in cifre
In questa edizione del rapporto, la riformulazione degli indicatori relativi alla redistribuzione del cibo in Cina e altri paesi densamente popolati ha portato a rivedere al ribasso le stime sulla fame nel mondo, giungendo alla cifra attuale di 690 milioni di persone. Al di là di queste correzioni metodologiche, tuttavia, la tendenza rimane invariata: dopo il calo costante calo registrato per diversi decenni, dal 2014 la malnutrizione cronica ha lentamente ma inesorabilmente ripreso ad aumentare. L’Asia rimane la regione con il più elevato numero di persone denutrite (381 milioni), seguita dall'Africa (250 milioni), e dall'America Latina (48 milioni). Se il tasso percentuale della denutrizione a livello globale non ha subito grandi cambiamenti, attestandosi allo 8,9%, a causa dell'incremento demografico il numero assoluto delle persone denutrite continua a crescere da 5 anni a questa parte.
Questi dati celano enormi disparità a livello regionale: in termini percentuali, l’Africa è la regione più colpita e maggiormente destinata ad esserlo anche in futuro, con il 19,1% della popolazione colpita dalla denutrizione. Il dato africano è più che doppio rispetto a quello dell'Asia (8,3%) e dell'America Latina e Caraibi (7,4%). In base alle tendenze attuali, si calcola che nel 2030 oltre metà degli affamati cronici del pianeta sarà concentrato nel continente africano.
Il costo della pandemia
Mentre la lotta alla fame sembra aver raggiunto una fase di stallo, la pandemia di COVID-19 sta acuendo vulnerabilità e inadeguatezze dei sistemi alimentari globali, intesi come l'insieme delle attività e dei processi che influenzano la produzione, la distribuzione e il consumo di generi alimentari. Se, da un lato, è ancora presto per valutare l’impatto reale del lockdown e delle altre misure restrittive, il rapporto stima che entro la fine dell'anno da 83 a 132 milioni di persone in più, nel mondo, potrebbero soffrire la fame a causa della recessione economica innescata dalla crisi. Questo dato si basa sulle più recenti stime di un calo del PIL globale tra il 4,9 e il 10%.
Questa battuta d’arresto mette ulteriormente a rischio il conseguimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 2, che prevede l'azzeramento della fame nel mondo per il 2030.
Cattive abitudini alimentari, insicurezza alimentare e malnutrizione
Porre fine alla fame e alla malnutrizione in tutte le sue forme (tra cui sottonutrizione, carenze di micronutrienti, sovrappeso e obesità) non significa semplicemente assicurare cibo a sufficienza per garantire la sopravvivenza: il cibo che ingeriamo dev’essere anche nutriente, soprattutto nel caso dei bambini. Un ostacolo determinante, tuttavia, è rappresentato dall’elevato costo degli alimenti nutrienti e dalla difficoltà di accedere a un’alimentazione sana per un elevato numero di famiglie. Il rapporto dimostra che una dieta sana è di gran lunga più costosa di 1,90 dollari USA al giorno, ossia la cifra fissata come soglia di povertà a livello internazionale. Secondo lo studio, anche la dieta sana più economica costa cinque volte di più di una dieta ad alto contenuto di amidi. I gruppi di alimenti più dispendiosi a livello mondiale sono quelli che assicurano un rilevante apporto di nutrienti, come i latticini, la frutta, gli ortaggi, nonché i cibi ad alto contenuto proteico di origine sia vegetale che animale. Le più recenti stime rivelano che la sconcertante cifra di 3 miliardi di individui o più non può permettersi un’alimentazione sana. Nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale, il 57% della popolazione versa in questa condizione, ma il fenomeno non risparmia alcuna regione, comprese America settentrionale ed Europa. Anche alla luce di tale situazione, la campagna per porre fine alla malnutrizione appare compromessa. Dal rapporto si evince che nel 2019 un numero compreso tra un quarto e un terzo di bambini di età inferiore ai cinque anni (191 milioni) era sottosviluppato o denutrito, ossia presentava ritardi nella crescita o eccessiva magrezza, mentre altri 38 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni erano in sovrappeso. Tra gli adulti, nel frattempo, l’obesità è diventata una vera e propria pandemia.
Un invito all’azione
L’idea che emerge dal rapporto è che, considerando la situazione dalla prospettiva della sostenibilità, una conversione globale a un’alimentazione sana contribuirebbe, da un lato, a tenere sotto controllo il dilagare della fame e, dall’altro lato, a ottenere enormi risparmi. Si è calcolato che questa trasformazione permetterebbe di compensare quasi interamente le spese sanitarie derivanti da una cattiva alimentazione, che secondo le previsioni raggiungeranno nel 2030 i 1.300 miliardi di dollari USA all’anno, mentre il costo sociale correlato alla dieta delle emissioni di gas a effetto serra, stimato in 1.700 miliardi di dollari USA, potrebbe essere ridotto fino a tre quarti. [Il rapporto analizza i “costi nascosti” di una cattiva alimentazione e le opzioni di modello, che chiamano in causa quattro diete alternative: flessitariana, pescetariana, vegetariana e vegana. Riconosce inoltre che in alcuni Stati più poveri le emissioni di carbonio potrebbero inizialmente dover aumentare per consentire a tali paesi di raggiungere gli obiettivi di nutrizione. (Al contrario dei paesi più ricchi, dove le emissioni devono diminuire.)] Il rapporto invoca un rinnovamento dei sistemi alimentari al fine di ridurre il costo degli alimenti nutrienti e facilitare l’accesso a un’alimentazione sana. Se è vero che le soluzioni specifiche differiranno da paese a paese, e persino da regione a regione, le risposte generali vanno ricercate in interventi lungo l’intera filiera alimentare, nell’ambiente alimentare e nell’economia politica, su cui sono improntati gli scambi commerciali, la spesa pubblica e le politiche di investimento. Lo studio esorta i governi a integrare la nutrizione nei loro approcci all’agricoltura; ad attivarsi per abbattere i fattori che incidono sull’aumento dei costi nelle fasi di produzione, immagazzinamento, trasporto, distribuzione e commercializzazione dei generi alimentari, anche riducendo le inefficienze nonché le perdite e gli sprechi alimentari; a incentivare i piccoli produttori affinché producano e vendano più cibi nutrienti e a garantirne l’accesso ai mercati; a dare priorità alla nutrizione dei bambini, in quanto fascia della popolazione maggiormente bisognosa; a promuovere un cambiamento delle abitudini alimentari attraverso l’informazione e la comunicazione; a introdurre il problema della nutrizione nei sistemi nazionali di previdenza sociale e nelle strategie di investimento. I capi delle cinque agenzie delle Nazioni Unite che hanno collaborato alla stesura del rapporto sullo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo ribadiscono il proprio impegno nel sostenere questo cambiamento radicale, accertandosi che sia portato avanti “in maniera sostenibile, per le persone e per il pianeta”.