Sognando Glasgow: il lungo viaggio di Sonny
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5 marzo 2018 - Fa un freddo pungente, insolito per l’inverno romano, strascico di una nevicata portata dal “Burian” dell’est, quando incontro Sonny Tesfaye.
15 anni, eritreo, è arrivato qui da un altro mondo, certamente più caldo di questo, che gli ha strappato via l’infanzia e lo ha catapultato, disorientato, in questa terra straniera.
Ad appena 12 anni Sonny ha lasciato la sua casa. Per arrivare in Europa ci sono voluti tre anni e 3.800 dollari, pagati da suo padre: 1.600 per la prima tappa del percorso, dall’Eritrea al Sudan, e 2.200 per arrivare in Italia dalla Libia.
In Libia è stato in prigione per un anno – trascorso per la maggior parte dei giorni in catene insieme a 300 altri ragazzi e ragazze – finché suo padre non ha racimolato abbastanza denaro perché i trafficanti lo liberassero e lo mettessero su una delle più pericolose rotte migratorie del pianeta.
Sonny è a Roma soltanto da tre giorni. Nonostante gli inquietanti allerta meteo, per lui e per i suoi amici una sola cosa conta – continuare il viaggio. Sono sopravvissuti al Sahara, al carcere in Libia e alla rischiosa traversata del Mediterraneo: non sarà certamente un po’ di neve a distoglierli dal loro obiettivo di raggiungere dei parenti in altre parti dell’Europa.
Questi ragazzi sono sfuggiti all'interminabile servizio militare dell’Eritrea. La loro unica speranza, raccontano, era di andare a studiare in Europa appoggiandosi alla rete dei familiari già emigrati lì.
Si aggiravano nei pressi della stazione Tiburtina, quando il team mobile UNICEF-Intersos [l'organizzazione non governativa Intersos è partner in diverse attività del programma UNICEF per i Minorenni migranti e rifugiati in Italia] li ha incontrati nel corso di una delle frequenti uscite di monitoraggio. Gli operatori li hanno invitati a passare al centro “Intersos 24”, dove i minorenni stranieri soli possono trovare un letto, una doccia, pasti caldi e soprattutto un clima accogliente.
Nel 2017 amici sono arrivati in Italia circa 17.000 minorenni. Il 93% di essi, come Sonny, hanno viaggiato da soli. Circa un quarto di essi ha fatto sparire le proprie tracce: le statistiche li definiscono “irreperibili”.
C’è tutto un mondo nascosto, spesso attorno alle stazioni ferroviarie, che offre loro supporto: una rete che li mantiene in contatto con la famiglia e con le comunità nazionali all'estero.
Ma c’è anche un altro mondo, insidioso, che li aspetta: quello di trafficanti e sfruttatori che girano come predatori intorno ai ragazzi più vulnerabili, offrendo loro informazioni e aiuto per trovare qualche lavoretto o accedere ai servizi. Di lì, spesso, per questi ragazzi e ragazze scatta la trappola della prostituzione o dello spaccio di droga.
Un'oasi di periferia
Il giorno dopo incontro nuovamente Sonny e i suoi amici al centro di Intersos. Si trova nell'estrema periferia est della capitale, in un edificio che un tempo ospitava una scuola e che è stato appena ristrutturato. L’atmosfera è allegra, amichevole e… ben riscaldata!
I ragazzi giocano a biliardino, mentre nella grande cucina è in corso una lezione su come fare la pizza e altri guardano al computer un film in tigrino [la principale lingua dell’Eritrea].
Una delle ragazze chiede se ci sono capi di vestiario più alla moda dei jeans a zampa d’elefante stile anni ’70 che gli sono stati dati. Le dico che adesso in Europa sono tornati di moda e che vestirsi “vintage” fa molto fico. Lei si guarda ancora allo specchio, con uno sguardo diverso, e parzialmente persuasa, accetta di indossarli.
Grazie al wi-fi del centro, Sonny si può connettere a Internet. La prima cosa che fa è controllare il suo profilo Facebook (ne ha uno, come tutti i ragazzi della sua età). Navigare sul web è una forma di libertà.
Sonny è il più grande fra i suoi fratelli. È un ragazzo sveglio, brillante, sempre pronto a cogliere al volo una novità o un escamotage per risolvere un problema. Gli mostro un reportage su cui ho lavorato per la CNN, e con mia grande sorpresa riconosce una delle donne che lo ha soccorso, un mese prima, nel mare Mediterraneo!
In un’altra stanza parlo con la psicologa del centro, Carmen Palazzo. Mi racconta che molti di questi adolescenti hanno alle spalle esperienze traumatiche, ma ciò che li colpisce più duramente è quando si rendono conto che la realtà dell’Europa è ben lontana da quell'Eldorado di ricchezza e prosperità a portata di mano che avevano sognato.
«Alcuni di loro mi rivelano che le esperienze del razzismo, della discriminazione, della burocrazia fredda e distante li feriscono più delle sofferenze che avevano affrontato prima di arrivare» dice Carmen.
«Hanno incubi e flashback delle torture subite in Libia o del viaggio in mare, ma paradossalmente queste sono situazioni più facili da gestire, per loro. Invece, l’incertezza che li avvolge qui non è qualcosa che sanno affrontare. Sentire che nessuno si interessa di loro e che sono trattati come se fossero invisibili.»
Il volto arcigno dell'Europa
Per il mio lavoro seguo da oltre due anni la risposta ai flussi migratori in Europa, e ho avuto modo di conoscere di persona la sgradevole realtà che si nasconde nelle splendide città del continente: da Berlino a Roma, da Atene alle perle turistiche delle isole greche come Lesbo.
Qui a Roma ho visitato un luogo che non può essere definito altrimenti che baraccopoli, dove un centinaio di persone sopravvivono all’interno di ciò che rimane di una fabbrica abbandonata. Un posto che è difficile credere si trovi davvero in Europa.
Qualche settimana fa il team mobile UNICEF/Intersos è riuscito a portare via da qui 40 ragazzini (per lo più migranti non accompagnati e Rom, ma anche qualcuno con i genitori) e farli affidare ai Servizi sociali del Comune.
Il fenomeno migratorio è diventato una cartina di tornasole per i valori fondanti dell’Europa e per la sua effettiva adesione agli obblighi contenuti in trattati internazionali come la Convenzione sui Rifugiati del 1951, la Convenzione sui diritti dell’infanzia o gli stessi principi sull’asilo previsti dall’UE.
Questa tensione tra principi giuridici e realtà ha diviso le opinioni pubbliche nazionali e ne ha fatto venire alla luce gli aspetti peggiori: basti pensare agli oltre 5.000 attacchi contro i migranti avvenuti in Germania nel biennio 2016/2017, agli sputi contro gli africani nelle strade europee o a quanto accaduto anche recentemente in Italia.
Alcuni giorni fa alcuni individui, probabilmente militanti di estrema destra, hanno anche forato gli pneumatici del furgone con cui opera il team mobile di UNICEF/Intersos.
Ma le migrazioni hanno fatto venire fuori anche il volto migliore dell’Europa, come le tante persone che hanno aperto il loro cuore (e in alcuni frangenti, le loro case) agli stranieri. Inoltre, hanno spinto le agenzie delle Nazioni Unite, come l’UNICEF, a intervenire direttamente nei paesi ricchi.
Tre anni per un viaggio di due giorni
Non c’è una risposta facile ai problemi di ragazzi sradicati dal proprio mondo come Sonny. La legge italiana è dalla sua parte, se non anche la gente.
In quanto più grande fra i suoi fratelli, su Sonny gravano pressioni e aspettative da parte dei suoi familiari. Ci si aspetta da lui che ripaghi le spese sostenute per farlo andare in Europa, e questo significa ottenere un’istruzione, trovare un lavoro (il suo obiettivo è diventare ingegnere) e questo comporta che raggiunga suo zio a Glasgow, in Scozia, che potrà dargli una mano in questo.
Più facile a dirsi che a farsi, però. Mostro a Sonny sulla mappa geografica dell’Europa che tra lui e suo zio ci sono diversi Stati, e poi un altro braccio di mare – il Canale della Manica – da attraversare.
Ufficialmente, il Regolamento UE di Dublino prevede che sia data protezione a persone a rischio come Sonny. Italia e Grecia sono i paesi di arrivo, quelli in cui i migranti devono chiedere asilo, ma pochi intendono realmente fermarsi qui.
In linea teorica, se un ragazzo ha un familiare residente in un altro Stato membro dell’Unione Europea, ha la facoltà di chiedere di essere trasferito in quel paese (relocation). Ma questa possibilità rimane per lo più sulla carta.
Il vero nemico di questi ragazzi è il tempo. Sospettano che il sistema europeo sia orientato a considerarli non come minorenni bisognosi di raggiungere uno zio o un cugino per trovare una sistemazione, ma come un problema da risolvere.
La loro idea è che l’Europa li tratti in modo ben diverso da come farebbe se fosse un coetaneo europeo a doversi ricongiungere a un padre o a una madre da cui è rimasto separato.
Vedono un sistema che li maltratta e li punisce, probabilmente per comunicare ad altri di non seguire il loro esempio. E questo atteggiamento li spinge a entrare, privi di documenti, in un sottobosco popolato di approfittatori della miseria altrui, mentre dall’altro lato trafficanti continuano ad attirare sui social media altri giovani con le menzogne su viaggi a bordo di navi da crociera, ottime scuole e splendidi lavori che li attendono a braccia aperte…
Qualche giorno più tardi, torno a cercare Sonny e chiamo al telefono suo zio a Glasgow (Sonny non ha portato con sé altro che i vestiti che aveva addosso, ma ha una memoria formidabile: indirizzi, password, numeri di telefono – è tutto ben stampato nella sua mente).
Non è facile districarsi nella telefonata e non riesco a capire bene se ha parlato con Sonny di recente. Gli offro un contatto telefonico con una persona che parla tigrino, per eventuali bisogni. Ma subito dopo vengo a sapere dagli operatori del team UNICEF/Intersos che Sonny è sparito.
Lui e i suoi due amici eritrei hanno deciso di prendere il loro destino nelle proprie mani e si sono messi in viaggio verso Ventimiglia, al confine con la Francia. Portano con sé un braccialetto di riconoscimento e lo “Young Pass”, un libretto con la propria foto e alcune informazioni su di loro e sui loro diritti. Al tempo stesso, gli operatori hanno dato loro avvisi e consigli sui rischi che li attendono.
Ma centri di accoglienza e servizi come questi possono essere solo degli aiuti temporanei, fin quando non ci saranno per questi ragazzi misure sicure, legali e durature.
Per il momento Sonny deve vedersela con grandi pericoli nella sua improbabile missione verso la Scozia. Se avesse ricevuto un visto umanitario, o se avesse potuto beneficiare di un normale ricongiungimento familiare, avrebbe preso un volo diretto dall’Asmara a Glasgow, spendendo circa 300 dollari e mettendoci un paio di giorni in tutto.
Invece è in viaggio da tre anni, suo padre ha dovuto pagare 3.800 dollari ai trafficanti e ha perso ciò che nessuna somma di denaro al mondo potrebbe restituirgli – gli anni migliori della sua giovinezza. Ed è tuttora ben lontano dalla sua meta.
Per Sonny, atteso alla prossima tappa del suo percorso in cerca di un’altra vita e di un nuovo inizio, la parte più dura del viaggio potrebbe non essere ancora quella alle sue spalle.
(Sarah Crowe, autrice di questo articolo, è UNICEF senior communications advisor e portavoce sulle migrazioni per l'Ufficio regionale UNICEF per l'Europa a Ginevra)