Un calcio alla guerra: in missione con Roberto Mancini tra i bambini siriani profughi in Giordania
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Corrispondenza dalla Giordania di Paolo Rozera, Direttore generale dell'UNICEF Italia. Fotografie di Alberto Rinonapoli per UNICEF Italia.
16 dicembre 2016 - Non capita tutti i giorni di passare una giornata con Roberto Mancini, ma vi assicuro che trascorrere con lui una giornata tra i ragazzi e le ragazze di Za'atari (Giordania) è stata un’esperienza eccezionale.
Roberto è nostro testimonial dal 2012 e Ambasciatore UNICEF dal 2014, ma mai sinora era riuscito ad andare sul campo per vedere da vicino il lavoro della nostra organizzazione, tranne la volta in cui era riuscito a fare una visita al magazzino internazionale di Copenhagen - la UNICEF Supply Division - il posto da dove partono, in tempi incredibilmente rapidi, tutti i nostri aiuti di emergenza e non.
Nel 2015 ho intensificato i contatti con lui che si è mostrato sempre disponibile, prestando la sua immagine per le nostre campagne di raccolta fondi e fornendo anche concreto sostegno economico ai nostri progetti.
A novembre Roberto mi ha cercato chiedendo di voler fare qualcosa in più per l’UNICEF. Con l’arroganza di chi lavora per salvare i bambini che soffrono l’ho sfidato a venire sul campo con me per vedere con i propri occhi come lavoriamo concretamente ogni giorno. Ci siamo lasciati con il forte dubbio che questa proposta potesse realizzarsi.
Ma dopo una sola settimana mi chiama per comunicarmi le sue date disponibili! Ha accettato di venire in Giordania, a 15 km. dal confine con la Siria! Lui è uno che di sfide nella vita ne ha accettate tante, figuriamoci se rifiutava questa.
Io, tifoso juventino, non lo conoscevo bene. Devo dire che è stato un gran piacere conoscere l’uomo Roberto Mancini, timido e sensibile, attento e pronto a farsi rapire dalle esperienze che stava vivendo, disponibile con i bambini e orgoglioso di essere un Ambasciatore UNICEF.
Lunedì 12 dicembre la nostra giornata inizia presto, con il trasferimento dalla capitale Amman (dove siamo arrivati ieri) a Za'atari, un campo profughi che accoglie quasi 80.000 rifugiati siriani (di cui 40.000 minorenni). Un popolo che è dovuto fuggire da una guerra assurda e dilaniante, persone che non vedono l’ora di tornare in Siria ma che sanno che questo non potrà accadere nel breve periodo.
Za'atari è una vera e propria città, addirittura la terza per grandezza in Giordania! Qui l’UNICEF si occupa di fornire acqua potabile e sicura per tutti, del sistema fognario, dell’istruzione, del recupero psicosociale dei minori e della lotta ai matrimoni precoci.
La nostra prima tappa è al campo base. Qui i funzionari dell'UNICEF Giordania ci fanno un quadro esaustivo della situazione nel campo. Roberto è una spugna, che ascolta attento e si complimenta per tutto il lavoro che si svolge. Non è una cosa da poco gestire in pieno deserto una “città” di 80.000 abitanti!
Ero venuto qui più di un anno fa e sono stato molto felice di vedere gli enormi progressi fatti dall’UNICEF anche grazie all’aiuto dei donatori italiani.
Adesso ci sono tre pozzi per l’acqua, che prima veniva portata da molto lontano con i camion cisterna. Entro la primavera del 2018 il sistema di tubature sarà completato e tutte le famiglie del campo avranno l’acqua direttamente nelle loro abitazioni, e ci sarà un sistema completamente igienizzato per la raccolta delle acque reflue.
Tutto ciò ci ha permesso, ad oggi, di ridurre già notevolmente i costi di gestione di tutto il sistema idrico del campo.
Ci sono nuove scuole (23 in totale) e ormai il 75% dei minori di Za'atari le frequenta. Insieme a Ong locali e internazionali, l’UNICEF gestisce centri di recupero psicosociale per i ragazzi e i "Centri Makani" ('il mio spazio'), ambienti a misura di minori dove i ragazzi e le ragazze in modo volontario possono frequentare attività che li aiutano a consolidare competenze utili ad affrontare la loro vita futura e avere un minimo di formazione professionale.
Qui l’istruzione è l’unico strumento che può dare loro una speranza concreta per il futuro, qualunque esso sia.
L’UNICEF è riuscito a ottenere che gli adolescenti che superano una sorta di test di Stato possono frequentare le università giordane. Un successo e uno stimolo eccezionale per chi vive da quattro anni in un campo profughi.
La prima tappa della nostra visita è presso un centro Makani. Ci viene raccontato il lavoro che si svolge quotidianamente, e incontriamo alcune delle "classi informali" dove gli insegnanti, rifugiati siriani anche loro, cercano di trasmettere ai ragazzi fiducia nel futuro e competenze di base.
Roberto viene assalito da domande che ci potevamo aspettare. I ragazzi vogliano sapere tutto di lui: dove ha giocato, quali squadre ha allenato, quanti campionati ha vinto e, soprattutto, chi è più forte tra Messi e Cristiano Ronaldo e qual è secondo lui la squadra migliore tra il Barcellona e il Real Madrid.
Lui non si sbilancia e, attratto dal magnetismo di questi ragazzi, si siede in mezzo a loro mentre leggono un testo in arabo. Lui non lo capisce l’arabo, ma l’allegria e l’orgoglio di questi ragazzi mentre leggono ad alta voce attraggono lui e tutti noi.
Roberto si complimenta con loro e in cambio riceve sorrisi sinceri di ringraziamento. Poi il calcio fa il suo vero mestiere. Facciamo una partitella con i ragazzi del Centro Makani, ci mischiamo con loro dividendoci in due squadre. Io mi metto in squadra con Roberto così posso sempre raccontare di essere stato in squadra con Mancini...
Il calcio fa il suo mestiere, perché cadono tutte le barriere (lingua, cultura, timidezza, diffidenza) e ci divertiamo tutti quanti. Ci sono ragazzi molto bravi, e Roberto non si risparmia. Si diverte proprio come se avesse anche lui 12 anni!
È uno spettacolo per gli occhi e per l’anima vederlo dialogare con colpi precisi con i suoi nuovi compagni di squadra: ragazzini spesso senza scarpe o calzettoni che corrono come il vento e accarezzano la palla per far vedere a "Mancio" quanto sono bravi.
Giochiamo in un cortile su una specie di moquette polverosa, siamo in troppi ed è difficile fare gol. Arriviamo ai rigori, il divertimento e il coinvolgimento sono alle stelle!
Non scorderemo mai la luce negli occhi di Ahmed il ragazzino che ha provato a parare il rigore di Mancini. Un tocco vellutato, ma per quel ragazzino l'importante era stare lì di fronte a lui. Non so quanti rigori abbiamo tirato, ma a un certo momento insieme agli educatori abbiamo deciso che poteva bastare, nessuno ha vinto e nessuno ha perso.
Questi ragazzi ricorderanno per un bel pezzo questa partitella tra amici. Inevitabilmente il nostro pensiero va a tutte quelle partitelle che quando avevamo l’età di questi ragazzi abbiamo giocato nei nostri cortili e nei nostri campetti e improvvisamente i ragazzini di Za'atari ci sembrano dei giganti di umanità, resistenza e voglia di vivere a tutti i costi. E questo calcio ci sembra molto vero.
La seconda tappa è una visita a uno dei tre pozzi realizzati dall'UNICEF. Un’opera semplice ed essenziale al tempo stesso, una di quelle cose che migliorano di molto la qualità della vita sempre difficile di chi ha dovuto lasciare la propria casa per venire a vivere nelle baracche di Za'atari. Vedo Roberto molto attento alle spiegazioni dei tecnici.
Letteralmente tocca con mano il pozzo, le tubature, l’impianto di purificazione dell’acqua, le pompe e le cisterne.
Un anno fa la situazione era molto più complicata, e questi progressi danno un senso al nostro lavoro e agli sforzi che i nostri donatori fanno nell’affidarci le loro donazioni. Roberto comprende molto bene tutto ciò e tradisce il suo orgoglio per aver scelto di collaborare proprio con l’UNICEF.
Dopo una breve pausa per mangiare un panino, andiamo a visitare un altro Centro "Makani", dedicato alle ragazze. Qui l’UNICEF insieme a una organizzazione non governativa internazionale conduce attività di recupero psico-sociale e di empowerment (emancipazione) femminile.
Una piaga presente è quella dei matrimoni precoci. Quando parliamo di matrimoni precoci intendiamo ragazzine tra i 12 e i 15 anni che vengono date in spose a uomini che hanno il triplo della loro età. Parliamo di adolescenza rubata, abbandono scolastico, gravidanze pericolose, divorzi e separazioni.
L’UNICEF combatte questa piaga curando la consapevolezza del proprio ruolo da parte delle ragazze, con l’istruzione e anche con lo sport.
Sì, il calcio è di nuovo protagonista! Dopo avere visitato quattro classi scolastiche, si apre davanti a noi un campetto di calcio in terra battuta dove dieci ragazze stanno facendo una partitella. Dopo i primi saluti ci invitano a giocare con loro.
Il campo è fatto di terra polverosa. Questa volta volta io e Roberto siamo avversari e alla fine pagherò questa scelta.
Non pensavo che mi sarei divertito così tanto. Le ragazze sono serie e molto attente nel gioco, mi stupisce come si cerchino tra di loro, la qualità del loro gioco e l’impegno che ci mettono.
Per arrivare a questo l’UNICEF ha dovuto fare un lavoro con le famiglie di queste ragazze che prima non apprezzavano un’attività cosi fuori dagli schemi culturali con i quali erano abituati gestire la crescita delle ragazze. Con i tempi giusti alla fine si è creato un gruppo di circa venti ragazze che giocano a calcio regolarmente.
Ancora una volta Roberto non si risparmia, e chiaramente si diverte. È una sensazione speciale giocare il proprio sport preferito e allo stesso tempo contribuire a un’attività concreta e fondamentale. Non vorremmo mai smettere, si crea tra tutti un clima di gioia e anche se parliamo lingue molto diverse tra loro riusciamo sempre a intenderci.
Questa è anche la forza dello sport in genere e del calcio in particolare. Però dobbiamo fermarci perché ci aspettano per l’ultima tappa. Prima di lasciare il centro ci facciamo raccontare dagli educatori il lavoro che fanno e come lavorano per l’emancipazione femminile.
Roberto sprona l’allenatrice ad andare avanti e insistere nel suo ruolo, così importante. Le dice che stanno andando nella direzione giusta e che sono a un buon livello. Vedo Roberto sempre attento, sono sicuro che queste ragazze, che usano il calcio per cambiare in meglio la loro vita, gli sono entrate nel cuore.
Nell’uscire ci fanno notare il muro di una baracca. Sopra c'è scritto: “Se insegni a una donna, insegni a una comunità”.
Facciamo fatica a salutarle, ci angoscia l’idea che a breve torneranno nelle loro baracche...
E proprio in una di queste baracche che si svolge la nostra ultima tappa. Veniamo accolti da una famiglia che con molto orgoglio, fierezza e dignità ci invita a entrare in casa. Lei è Aima, si è sposata a 17 anni ora ha 4 figli (tre maschi e una femmina).
Il marito l’ha lasciata. Parliamo con lei delle sue speranze per il futuro e dei progetti dei suoi figli. Uno di loro è lì con noi. Lei appena possibile vorrebbe tornare in Siria.
Uno dei figli è stato selezionato da una società sportiva del Qatar insieme a altri 19 giovani per fare uno stage di 20 giorni. Una bella occasione. Non credo che sarei in grado di descrivere i sentimenti che proviamo: un misto di rabbia, rispetto, compassione, ammirazione e fastidio.
Quella baracca infastidisce la nostra coscienza di benestanti cittadini europei. Ci sembra impossibile che vivano così da 4 anni, ma questa è la cruda realtà per gli 80.000 abitanti di Zaatari. L’inverno è alle porte e qui si arriva anche a meno 3 gradi. In Italia stiamo facendo una raccolta di fondi per fornire le coperte per i bambini, dobbiamo sbrigarci!
Fuori dalla baracche ci aspettano una decina di bambini con una palla, Roberto si mette a palleggiare con loro che lo guardano estasiati. Si vede che Roberto si sente uno di loro e loro ricambiano con sorrisi e gioia le sue attenzioni.
La nostra visita si chiude al campo base con una chiacchierata con Roberto a mo’ di intervista su quello che abbiamo vissuto insieme. E qui Roberto esce per quello che è: una persona sensibile, attenta e seria. Si vede che ha interiorizzato tutto quello che ha vissuto e visto.
Ci fa capire che non scorderà mai i ragazzi che giocano a piedi nudi, la partita con le ragazze, il calcio strumento di crescita e emancipazione, il lavoro dell’UNICEF, la felicità dei ragazzi e delle ragazze nei Makani. È stato un piacere conoscerlo un po’ di più in questa occasione. È sempre così: gli incontri veri con persone che si mostrano per quello che sono arricchiscono la nostra vita e la rendono migliore.
Ci lasciamo con emozione nei nostri sguardi, la voglia e la determinazione che non finisca tutto così, parliamo di possibili progetti e ci sono tante idee. Le verificheremo con l’UNICEF in Giordania per poter intervenire sulle esigenze più urgenti.
Siamo determinati e sicuri che, con l’aiuto dei nostri donatori, potremo continuare a migliorare le condizioni di vita dei ragazzi e delle ragazze di Zaatari e in questo modo costruire un futuro migliore per tutti.
Questa visita ci ha confermato ancora una volta che è possibile costruire un futuro diverso per i milioni di bambini che nel mondo soffrono ogni giorno.
Abbiamo toccato con mano il fatto che con l’aiuto di tutti si può e si deve ancora fare molto per i bambini e le bambine. So che Roberto Mancini giocherà nella nostra squadra. Giocherà in più ruoli così come in quel campetto di Zaatari, perché quando ti prende la passione e questi ragazzi e queste ragazze ti entrano nell’anima non ti risparmi più.
Grazie UNICEF e grazie Roberto Mancini!
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