"Vi racconto sui social la mia famiglia allargata". La storia di Mohammed e dell'incontro con Daniela e Alberto
4 minuti di lettura
Luci calde, fotocamera accesa, ed è tutto pronto per raccontarsi in diretta. Mohamed arriva in Italia dall’Egitto ancora sedicenne “mi avevano detto che qui c’erano delle scuole dove potevo studiare fino ai 18 anni, poi che sarebbe stato semplice trovare lavoro”.
Una volta entrato in struttura d’accoglienza però scopre una realtà diversa: "Non era come volevo. Volevo andare via da qui, eravamo in tanti, facevamo poco. Mi rendevo conto che se fossi rimasto, non avrei mai raggiunto i miei obiettivi”.
È in questo momento che la storia di Mohamed si incrocia con quella di Daniela e Alberto. Daniela aveva già iniziato un percorso di affido nel matrimonio precedente, da cui ne sono conseguiti altri. Insieme ad Alberto decidono di allargare ancora la famiglia, con l’affido un minorenne di origine straniera.
“Come Daniela anche io sono entrato molto in sintonia con l’idea di offrire una sponda a ragazzi che avevano magari delle esigenze momentanee, e quindi bisogno di un’ospitalità, una forza, un sostegno potenzialmente anche breve, ma intenso” spiega Alberto.
Quando li ho visti non sapevo cosa dire, da dove cominciare, avevo paura di non piacere. La prima sera ho mangiato poco, avevo difficoltà a dormire, ho paura quando dormo con persone che non conosco. Ma è andato tutto bene. Mi sentivo diverso, stavo bene, sentivo che stavo facendo un passo avanti. Da lì in poi, potevo costruire qualcosa.
Il percorso è iniziato con le difficoltà della lingua
"All’inizio parlavo poco" racconta Mohammed. "Mi hanno spronato a imparare la lingua, fare corsi, a non stare fermo. Mi lamentavo, poi ho capito e mi sono reso conto di come tutto questo mi abbia aiutato”.
“Io parlo molto, ho da ridire su tutto, adesso ho imparato così bene l’italiano – scherza Mohamed – che posso sempre rispondere e dire la mia”.
Per Daniela il percorso era chiaro: “Entra in casa tua durante l’affido una persona che ha già una sua vita, una sua storia. Manca una prima parte e bisogna compensare questa parte che manca, avvicinarsi pian piano e trovare una propria strada”.
Mohamed si avvicina all’affido dopo averne parlato con la mamma naturale, in Egitto, preoccupato che la scelta potesse spaventarla. Si crea un rapporto fatto di sorrisi, che Daniela e la mamma naturale si sono scambiate qualche volta al telefono quando Mohamed faceva da tramite.
Stiamo bene adesso, mi sento bene. Loro mi danno l’amore, mi trattano come un figlio, questa è la cosa che a me interessa.
Mohammed
La decisione di raccontare la sua storia
Oggi Mohamed racconta sui social la sua esperienza, condividendo la sua storia e fornendo consigli a chi come lui vuole intraprendere il percorso di accoglienza in famiglia. Si dice preoccupato del dopo. Ma la chiave della sua storia, come tante altre, è la creazione di una rete che facilita e rendere più fluido possibile il percorso di autonomia.
“Trovo indispensabile avere una rete, avere vicini operatori che ci seguono, assistenti sociali validi. L’affido non è della persona ma della comunità – dice Daniela - In qualche maniera sono bambini del mondo”.
“All’inizio dei percorsi di affido – spiega Maria Luisa Coi, Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti, partner dell’UNICEF nel programma di affido Terrefereme - C’è proprio la preoccupazione di riuscire a dare in poco tempo il più possibile. Spesso le famiglie hanno fretta e quello che facciamo è proprio tranquillizzarli, fargli capire che c’è il tempo, affinché i ragazzi si riposino, si sentano a casa e facciano la loro strada”.
Tante sfide ma anche tanti momenti di gioia
“Dopo le sfide legate alla logistica quotidiana, al dare obiettivi, trovare i corsi, a dinamiche complicate legate alla storia precedente del ragazzo o della ragazza – spiega Alberto – ci sono tante gioie: sono i momenti in cui si riescono a ottenere i risultati sperati: la riuscita scolastica, rapporti positivi con gli amici, il lavoro, il fatto di sviluppare una personalità, una forza equilibrata”.
“Colpisce sempre molto – conclude Nicola Dell’Arciprete, Coordinatore UNICEF in Italia - la capacità delle famiglie affidatarie di dare di nuovo un punto di riferimento ai ragazzi che giungono in Italia da soli. Credo che oltre l’aspetto emotivo questa storia ci dimostri come tutti possano avere un ruolo nell’accoglienza. Ognuno di noi può fare il suo per aiutare chi viene in Italia alla ricerca di un futuro migliore”.