Voices of youth, Giacomo (Rovigo): un educatore di strada al fianco dei più fragili
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Quando ero piccolo e mio padre mi portava al parco, il mio occhio si posava sempre su quei bambini che venivano emarginati dal gruppo per un motivo o per l’altro.
Mi capitava spesso di assistere a episodi di questo tipo e quando accadeva non avevo dubbi da che parte stare.
Stavo con gli esclusi e ci stavo perché nessuno merita di essere tagliato fuori, di essere spinto nella solitudine. Negli anni non ho cambiato schieramento.
Ho continuato e continuo a protendermi in direzione di chi credo ne abbia bisogno. Oggi, infatti lo faccio per lavoro e per volontariato.
Sono un educatore e quando fa buio passo in rassegna la mia città per distribuire beni di prima necessità a chi vive ai margini della società.
Mi riferisco ai senzatetto, agli svantaggiati, ai fragili, a quello scorcio di umanità già ignorato prima della pandemia e ora ancora più invisibile.
Ogni sera insieme ai miei colleghi e volontari gli consegno dei mini-pasti e una coperta. Può sembrare un’azione impercettibile di fronte alla drammaticità del momento, ma chi fa l’educatore di strada sa che una coperta e un mini-pasto può sottrarre al freddo e alla fame qualcuno.
Per questo quando mi chiedono cosa significa essere educatore di strada, talvolta rispondo che vuol dire proteggere.
Proteggere è una parola composta da pro e tegere, che in latino significa coprire. Coprire, qui, nel senso di riparare, di difendere chi di difese spesso non ne ha.
Ed è ciò che, di fatto, insieme agli operatori facciamo quando troviamo persone in difficoltà e gli diamo una mano a passare la notte, a trovare riparo.
È un lavoro di squadra, dove ci orientiamo per sguardi d’intesa e condivisione, di chi sa che anche questo è un modo per lottare contro il virus.
Ed è grazie all’UNICEF e ad altre realtà che molte di queste storie possono essere raccontare ed ascoltate.
Una lettura che genera vicinanza, quella vicinanza che ho sempre sentito da quando sono entrato a far parte del movimento Younicef.