Za'atari, la città dei profughi

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01/06/2015

Corrispondenza dalla Giordania di Paolo Rozera, Direttore generale dell'UNICEF Italia

Speciale Siria: news, video, foto e informazioni sull'azione umanitaria dell'UNICEF per i bambini siriani

1° giugno 2015 - Giornata molto intensa, con tante situazioni e altrettanti sentimenti forti. Quello che alla fine li accomuna tutti è l'orgoglio di lavorare per un'organizzazione che lavora sempre per il miglior interesse delle bambine e dei bambini, e il profondo rispetto per i nostri operatori sul campo.

Prima di tutto visitiamo il campo profughi di Za'atari, situato in una zona desertica della Giordania settentrionale, non lontanto dal confine siriano.
 
È un campo profughi ma è diventato il terzo agglomerato della Giordania con circa 82.000 anime, dove il 54% circa è rappresentato da bambini. Il numero totale sta andando a diminuire perché molti, soprattutto quelli che stanno qui da almeno 3 anni, stanno scegliendo di ritornare in Siria sfidando pericoli gravi piuttosto che rimanere nel campo profughi.
 

La vita quotidiana nel campo

Nessuno immaginava che Za'atari potesse raggiungere queste dimensioni, per cui sono stati fatti nel corso dei mesi successivi alla sua apertura doversi interventi per adeguarlo al crescente afflusso di profughi.

Incontriamo dapprima i nostri operatori che lavorano stabilmente nel campo: una vita dura, ma tanti sorrisi e una fantastica accoglienza, come se avessimo sempre lavorato e condiviso le difficoltà con loro...
 
Ci dividiamo in due gruppi per muoverci meglio, Zaa'tari è come una città, non riusciremmo mai a visitarla tutta, per cui ci portano in alcuni posti significativi. 

Qui l'azione dell'UNICEF, grazie ai suoi donatori, si concentra sulla distribuzione di acqua potabile, sui "Child-friendly Spaces" ("Spazi a misura di bambino", dove i più piccoli possono giocare e rilassarsi in ambiente protetto), sulla gestione delle acque nere e sull'istruzione.

La distribuzione dell'acqua potabile avviene con camion ma abbiamo progettato un sistema di tubature che sarà presto realizzato e che ridurrà enormemente i costi di gestione. C'è tutto un sistema per testare la qualità dell'acqua distribuita, che coinvolge in modo attivo gli stessi abitanti di Za'atari.

Prima di tutto incontriamo una famiglia composta da padre, moglie incinta e 6 bambini. Parliamo con il figlio di 13 anni. Non va a scuola, perché - ci dice il padre - il sussidio da rifugiato che riceve non basta alla famiglia. 

La situazione non ci sembra chiara. Lucio Melandri, responsabile per l'emergenza dell'UNICEF Giordania, dopo avere fatto due calcoli insiste con molta delicatezza ma altrettanta determinazione per capire come mai il ragazzo non frequenta la scuola. Notiamo però che il ragazzo è inibito dalla presenza dei genitori. 

Chiediamo allora ai genitori il permesso di farci accompagnare dal figlio a vedere il mercato (sì, a Za'atari c'è anche un mercato!), Dopo un poco il ragazzo si scioglie e ci racconta che deve lavorare perché la sua famiglia manda i soldi ai parenti rimasti in Siria

In questo caso l'azione dell'UNICEF è piuttosto delicata: si parlerà di nuovo con i genitori, per convincerli a far andare almeno 3 ore al giorno il figlio a scuola, spiegando l'importanza dell'istruzione per il suo futuro. Verrà poi approfondita la questione sull'entità del sussidio che questo nucleo familiare riceve.
 

Il desiderio irrealizzabile di Ahmed

Andiamo poi a visitare un ospedale. Immaginate un'area recintata del campo, composta da vari container, che ha la capacità di circa 40 posti-letto. Qui tocchiamo con mano un'altra caratteristica del lavoro dell'UNICEF: la collaborazione quotidiana con le ONG [organizzazioni non governative] partner. 

L'ospedale è gestito da Medici Senza Frontiere. Qui vengono curati i bambini che, grazie all'attività di persuasione sulle autorità giordane, l'UNICEF riesce a far passare al confine con la Siria perché feriti dai bombardamenti. 

Parliamo con delicatezza con Ahmed, al quale sono state amputate le gambe, e gli chiediamo qual e' il ricordo più bello che ha. «Quando giocavo nel cortile vicino casa con i miei amici» ci risponde,

Allora gli chiediamo quale sarebbe il suo desiderio più grande. Risponde con sorprendente serenità, con lieve un sorriso: «Vorrei tanto rivedere i miei amici, ma sono morti sotto il bombardamento che mi ha tolto le gambe».
 
 
 


01/06/2015

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